Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Grande, grandissimo cinema italiano. Visioni, sentimenti, voci, volti, pensieri. Quasi due ore di cinema "alto" come non se ne vedeva da tempo. Certo, non tutto è perfetto, ogni critica è ricevibile, e ci può stare, tuttavia è innegabile che si tratta di opera rara e preziosa, unica e originale. La vicenda qui raccontata conquista lo spettatore, le immagini prendono e appassionano. La macchina da presa, manovrata con mano sicura da Matteo Garrone, sembra danzare inquadrando i volti dei personaggi e in particolare quando si sofferma su quello, impagabile, del protagonista, prima incontenibile e poi completamente alienato e perso. A questo punto ho un solo timore che mi insegue causandomi disagio: visto il trattamento ignobile riservato dal pubblico al film di Bellocchio (praticamente ignorato) nutro forti dubbi anche sul destino commerciale di questo capolavoro. Consultando il box office più recente, che vede "Reality" piazzato solo a metà classifica, mi piange il cuore perchè io mi rifiuto di vivere in un paese dove al film di Garrone viene preferita quella roba immonda che è "Resident Evil". Tra l'altro (lo dico come piccola nota a margine), al contrario del comunque validissimo collega Sorrentino che al momento dell'uscita del suo ultimo film (quello con Sean Penn) imperversava su giornali e tv con interviste ovunque, Matteo Garrone non ama affatto parlare, nè far parlare, di sè. Io stesso conosco a malapena il suo volto. Evidentemente è il suo stile, estremamente riservato, che lo porta ad esprimersi esclusivamente con il suo lavoro. E se il risultato di questo "stile" sono film-capolavoro come "Gomorra" e "Reality", tanto di cappello. Personalmente, ho visto anche "Primo amore" e "L'imbalsamatore", due lavori non privi di difetti ma in ogni caso pregevoli, anche se non paragonabili all'eccelso livello delle due ultime opere. Sì, perchè "Gomorra" è un film epocale, per quanto mi riguarda uno dei film della mia vita, oramai tra le pietre miliari del cinema contemporaneo. E dopo un capolavoro di quella portata non era facile, suppongo, lavorare con la necessaria serenità. E invece Garrone ci si è messo di buzzo buono e, prendendosi il tempo necessario, ha costruito un altro gioiello assoluto. Rispetto al lavoro precedente, è evidente che quest'ultimo prodotto è inferiore, ma siamo comunque su livelli elevatissimi di qualità che lo collocano forse al primo posto tra i nostri cineasti. La vicenda narrata è ormai nota, tutti i quotidiani ne hanno ampiamente riferito. Luciano, estroso pescivendolo partenopeo, arrotonda le precarie entrate gestendo, con la collaborazione della moglie, piccoli traffici che hanno per oggetto dei robot da cucina. Finchè, un giorno, casualmente, si sottopone, in un centro commerciale, ad un provino per il Grande Fratello. Lui è molto attratto da quel mondo, anche perchè ha conosciuto un ex concorrente che sta godendo di grande popolarità. Dopo un colloquio, Luciano viene messo in lista d'attesa e poi probabilmente scartato, visto che non gli viene comunicato più nulla. Ma ormai è troppo tardi. Ormai il danno è fatto. Luciano diviene vittima di un processo psicopatologico progressivo che gli avvelena l'esistenza. Ogni momento della sua giornata è ossessionato dalle sorti di quel colloquio, l'attesa lo consuma a livelli devastanti. Insomma Luciano sente crescere dentro di sè un mostro. Non controlla più le sue azioni quotidiane. Orienta ogni sua mossa come se fosse già entrato nel meccanismo della competizione televisiva. La sua mente disturbata lo porta a vedere in ogni persona sconosciuta che lo osserva per strada un possibile emissario dello staff televisivo incaricato di spiarlo nel suo privato. Inoltre, quel che è peggio, Luciano inizia a compiere gesti inconsulti che lo portano a litigare con la moglie, la quale assiste distrutta a quella mutazione che ha del mostruoso. Sullo sfondo i parenti di Luciano, un nucleo variopinto di persone che in un primo tempo lo supportano in questa sua follìa, anzi lo galvanizzano (con l'eccezione di una saggia zia anziana), ma poi devono prendere atto del montare della sua patologia. Ovviamente tralascio di rivelare il finale, ma devo segnalare una lunga sequenza conclusiva, probabilmente onirica, che ha suscitato molte perplessità, forse proprio per una sua non univoca interpretazione. Qualcuno si è spinto ad ipotizzare che Garrone sia stato "tradito" dal non sapere più trovare il modo giusto per mettere la parola "fine" e abbia così escogitato un finale stralunato e straniante. Ciascuno di coloro che vedranno il film potrà giudicare da sè (il mio giudizio, per ora, è sospeso). Un'altra critica che è stata mossa al film è quella di aver intercettato fuori tempo massimo il fenomeno dei reality, proprio quando questo sta accusando una forte crisi. Pur non negando tale evidenza, io ritengo che la sostanza del discorso sia sempre attuale, in quanto implica uno sguardo socio-culturale di più vasta portata, e una riflessione importante sulla decadenza dei valori culturali. Per dirla con Pasolini, stiamo parlando del genocidio di un popolo e di una culltura. Io credo che sia tutto riconducibile ad una grande deriva di ignoranza di massa, che è poi la stessa che determina quella barriera tra il gusto medio degli italiani e il cinema di qualità cui prima accennavo. A questo punto è necessario aprire un capitolo sugli attori, perchè ci viene offerto lo spunto per alcune considerazioni. Il protagonista della pellicola, infatti, Aniello Arena, è nella vita un detenuto (ergastolano) nel carcere di Volterra. Lo straordinario livello espressivo di questo attore ci dà occasione per riflettere su come oggi si possa formare il percorso artistico di chi ha scelto questa professione. E d'altra parte proprio dal carcere proveniva il cast dell'ultimo pluripremiato lavoro dei fratelli Taviani. Aniello Arena è incredibilmente intenso nel suo modo di esprimere l'estro e la vivacità di questo pescivendolo-fantasista e in seguito nel rappresentarne il tracollo psichico che lo condurrà agli inferi. Quanto al resto del cast, esso è per lo più composto da volti appartenenti alla realtà partenopea, raccolti dalle televisioni campane e dai circuiti cabarettistici locali. Con due illustri eccezioni: lo straordinario comico e veterano caratterista Nando Paone, e poi quella meravigliosa attrice teatrale napoletana che è Nunzia Schiano. Resta da dire della sontuosa colonna sonora curata da un Maestro di fama internazionale come Alexandre Desplat. C'è, infine, un nome che aleggia su tutto il film, che affiora qua e là, e che -sono in molti a giurarlo- se fosse in vita avrebbe apprezzato questo film: Federico Fellini.
Voto: 10
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