Regia di Joe Carnahan vedi scheda film
La definizione non è mia. L'ha usata Gianluca Arnone sul sito "Cinematografo.it" introducendo la sua recensione: "Disaster-movie dell'anima". Mi piace, rende l'idea. Leggendo la trama, il pensiero va subito al più famoso dei film di questo filone, il tremendo (nel senso di "tragico") "Alive" del 1993. La vicenda è ricalcata sul medesimo meccanismo: un incidente aereo costringe un piccolo manipolo di uomini disperati a tentare di sopravvivere trai ghiacci e i lupi famelici. Con una differenza non da poco: "Alive" (se la memoria non mi tradisce) era la rappresentazione di una tragedia realmente accaduta (compresi gli sconvolgenti episodi di cannibalismo) mentre qua, per fortuna, si tratta di trasposizione di un romanzo. Anche se, a livello di di effetto devastante sullo spettatore, ben poco cambia. Credetemi se vi dico che è uno dei film più carichi di angoscia che abbia mai visto in vita mia. E aggiungo che un paio di volte sono stato tentato di abbandonare la sala, perchè il malessere che questa visione comunica allo spettatore si fa a tratti davvero insostenibile. Certo, in questo genere di cinema non è che si possa andare tanto in là o lavorare più di tanto di fantasia. Lo schema è assai ristretto e prevedibile. Pochi uomini disperati, affamati e quasi congelati che vedono la morte in faccia, e la vedono nel freddo impietoso, nelle tempeste di neve, ma soprattutto negli assalti dei branchi di lupi feroci. C'è da impazzire solo a pensarci, figuriamoci a vedere uno spettacolo impostato su questi elementi che si trascina senza tregua per due ore esatte. Dio mio, quegli ululati nel buio sono qualcosa di terrificante che non riesco a togliermi dalla testa. Un film come questo implica elementi che possono essere interpretati alla stregua di un horror, proprio per la lugubre deriva di alcuni snodi narrativi, per certi colpi di scena declinati all'incubo, però la differenza con l'horror è palese. Là sappiamo che si tratta di finzione, di grottesca rappresentazione dove l'aspetto splatter attiene spesso al surreale, e allora finisce che di certe sequenze truculente -volendo- si può ghignare o sorridere. Per questo film ciò non è possibile. Qui ci si si ispira a situazioni talmente dolorose e tragiche nella loro verosimiglianza che l'ironìa non è ammessa. Un viaggio doloroso nella sofferenza, nella rabbia, nel rimpianto, nel ricordo. Temi fatti per esser presi sul serio, che coinvolgono lo spettatore il quale esce dalla sala raggelato e sgomento, quai fosse scampato ad un incubo. C'è poi in questo film un elemento abbastanza nuovo rispetto alla categoria "disaster movie" così come la conosciamo. Qui i sette sopravvissuti vengono descritti secondo criteri che vanno oltre la semplice caratterizzazione, perchè c'è un interessante lavoro di introspezione psicologica, un'indagine sui meccanismi del comportamento umano di fronte all'ineluttabilità della natura e del destino. Razionalità e Fede. Quegli sventurati hanno modi diversi di reagire. C'è chi si chiede -da credente- quale ruolo abbia l'Onnipotente in tutto ciò che sta accadendo e chi, invece, sostiene che proprio il precipitare tragico degli eventi testimonia che oltre la morte non esiste nulla. Particolarmente emozionante la sequenza in cui il protagonista, affranto e disperato, grida al cielo la sua invettiva contro quel Dio che non ascolta chi ha bisogno del suo aiuto. Ma c'è un fattore che accomuna tutti e sette i personaggi (anche se occorre specificare che verranno via via decimati e alla fine ne resteranno solo tre): l'attaccamento tenero e dolente al ricordo delle persone amate. In particolare il protagonista, il cui ritratto psicologico è affascinante, nelle sue ombre di depressione incombente, contrastate dalla ricorrente immagine della compagna dolcissima, che però lui sa di aver perso. Parlerò più avanti di un Liam Neeson sorprendente, ma voglio qui sottolineare che i numerosi primi piani sul volto distrutto ed impotente dell'attore sono impagabili, la fotografia della solitudine di un uomo che è già morto "dentro" e che si prepara a morire di nuovo. Questa la ricchezza del film: riuscire a mantenere un delicato equilibrio fra "tragedia del disastro" e indagine sull'anima degli uomini, assegnando all'opera un valore aggiunto di spiritualità che la solleva dall'ambito consueto della pellicola di genere. Tanto che possiamo alla fine parlare di un singolare caso di prodotto nato coi connotati del b-movie ma che ha finito col diventare opera che non nasconde una certa ambizione, peraltro premiata da un discreto successo al box office USA. E questo coraggio nell'osare va accreditato al regista Joe Carnahan (proveniente dal ben più commerciale "A-Team"), ma non si può non rendere omaggio ad un superbo direttore della fotografia come Masanobu Takayanagi che ci regala stupefacenti immagini da mozzare il fiato. Il vero trionfatore è però Liam Neeson, che al film conferisce carne e sangue, compenetrandone visceralmente il senso più profondo di una disperata solitudine. Mi ero preparato dei discorsi piuttosto malevoli sulle ultime discutibili prove di questo grande attore. Discorsi che non farò (per non rovinare tutto). Certe volte è meglio tacere.
Voto: 10
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