Regia di Kôji Wakamatsu vedi scheda film
Un giovane gigolò intreccia una relazione con una donna appena conosciuta. Questa convince l'amante di una notte ad uccidere suo marito, in cambio di cinque milioni di yen. I due, poi, dovranno stare lontani per almeno un anno, in modo da non destare i sospetti della polizia. L'omicidio è prospettato come facile e sicuro, poiché la vittima è un uomo anziano e invalido, che vive in un paesino di montagna e si trova in casa da solo. Qualcosa, però va storto, perché, mentre il ragazzo rovista la sala per cercare i soldi, arriva una domestica e lo vede in faccia. Il giovane fugge, sentendosi braccato in una zona che conosce poco (in quanto edokiano) e, slogatosi una caviglia, trova rifugio in un casolare di campagna. La casa, chiusa dall'esterno per mezzo di lucchetti, non è disabitata. Ci "vive" una ragazza, completamente schiavizzata da un uomo, che l'ha segregata fisicamente, psicologicamente e sessualmente. Com'è prevedibile per chi conosca questo autore, la storia, ancora una volta nel cinema di Wakamatsu, ha come elemento propulsivo il sopruso dell'uomo sull'uomo (più spesso, anche se non sempre, sulla donna), esercitato per mezzo del sesso. La giovane Akiko, infatti, è imprigionata dal maturo Shin, che la segrega, la incatena e la umilia psicologicamente e sessualmente, attraverso dei rituali maniacali, che si esplicano attraverso la ricorrente rasatura del pube e la completa incipriatura del corpo nudo della ragazza. Ma anche il protagonista maschile è a sua volta vittima della macchinazione della donna conosciuta per il lavoretto (nonché dell'usuraia che pretende indietro i cinque milioni che gli ha prestato), la quale pensa di servirsi di lui - sempre grazie allo stesso carnale strumento - per liberarsi del marito. Wakamatsu, vicino alla soglia dei settant'anni, tenta un cinema più narrativo, pur non rinunciando alle tematiche che predilige da sempre, qui forse influenzato dalle nuove tendenze della scuola asiatica, con particolare riferimento al cinema "crudele" dei sudcoreani e con qualche lievissimo accenno orrorifico. Sempre correndo il rischio di scadere nel «polpettone esistenziale indigesto» (come definisce l'utente Lattepiù, sul sito davinotti.com, un altro film di Wakamatsu, Running in Madness, Dying in Love), il regista nipponico offre questa volta un'opera tutto sommato interessante e quanto meno in linea con il cinema di questi tempi.
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