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Ore diciotto in punto

Regia di Giuseppe Gigliorosso vedi scheda film

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La recensione su Ore diciotto in punto

di maghella
8 stelle

Il cielo sopra Palermo non ha niente da invidiare a quello di Berlino. Questo il primo commento che mi è venuto da fare dopo aver visto il bel “Ore diciotto in punto” di Giuseppe Gigliorosso.

 

Il paragone con il film di Wenders viene spontaneo per la storia che i due film trattano: angeli che accompagnano gli uomini sulla terra, nel caso del bel film italiano, accompagnano i suicidi aspettando che compiano il loro gesto estremo per poterli condurre poi alle porte del paradiso.

 

Gli angeli “siciliani” sono però molto umani (e più simpatici di quelli tedeschi), anche e soprattutto per come svolgono il loro lavoro. Un improbabile ufficio “inferiore” distribuisce le pratiche con i nomi e l'ora esatta dei suicidi, l'angelo a quel punto parte per la sua missione.

 

Sono angeli dai visi umani, stanchi, con un loro sindacato, un orario d'ufficio da rispettare e che non vedono l'ora di finire il turno lavorativo per poter uscire.

L'angelo protagonista di questa storia è Paride (Paride Benassai), che dopo aver accompagnato un avvocato e una casalinga depressa al paradiso, viene chiamato per un ultimo incarico: alle diciotto in punto un barbone di trent'anni si impiccherà.

Paride Benassai

Ore diciotto in punto (2013): Paride Benassai

Paride si reca nel luogo giusto (il meraviglioso giardino botanico di Palermo) e all'ora esatta, il barbone ha già la corda al collo, quando squilla un telefonino.

Il barbone non si impiccherà più per rispondere al telefono, un cellulare smarrito da una ragazza che gli chiede se può restituirglielo il giorno seguente.

 

Si crea così un'anomalia nella pratica di Paride: il “suo morto” ha scelto di vivere.

Chi è il vero angelo in questione? Quello che aspetta che muoia, o quello che lo porta a vivere?

 

Il barbone (che nel film si chiama Nicola ed è interpretato da Salvo Piparo) aspetta che la ragazza (nel film Stella, interpretata da una bellissima Roberta Murgia) lo chiami, e lei puntualmente lo fa, per ringraziarlo ancora e dargli la buonanotte.

 

A questo punto la storia segue Nicola e il suo mondo popolato da vagabondi come lui. Duchessa è una vagabonda come Nicola, e decide di proteggerlo e aiutarlo in una faticosa rinascita.

Ripulito e rivestito Nicola incontra finalmente la sua Stella... e si innamorano.

 

La nuova storia d'amore nasce però su pesanti segreti e un passato che è difficile da svelare, e quando incredibilmente sarà quello di Stella il più terribile da scoprire, Nicola non regge il colpo e deciderà di farla finita con una vita che pare prenderlo in giro.

 

Ma questa è una storia “quasi vera” (come viene scritto sotto il titolo del film), e il finale ha tutto il sapore di una risposta ottenuta da una esperienza di vita tutta reale: (prendo in prestito le parole di un mio amico) se si è motivati, ci si scorda del passato e si va oltre le apparenze. Si vede oltre il campo .

 

Il paradiso che viene raccontato in questo film non è affatto paradisiaco, gli angeli non sono tipo quello di Frank Capra in “La vita è meravigliosa”-1946, non scendono sulla terra per convincere gli uomini a non uccidersi, ma anzi al contrario: aspettano che lo facciano.

Gli uffici dell'improbabile aldilà sono vecchi, polverosi e burocratici e ci sono capi e superiori antipatici e spocchiosi. Uno specchio dell'aldiqua, che non lascia presagire nulla di buono... eppure se si varcano le porte del paradiso, che sono semplicemente delle lenzuola stese ad asciugare, si può attraversare un campo meraviglioso che è la parte più bella della terra. Una frase mi è rimasta impressa del film, quando il primo suicida viene condotto al paradiso, si volta e chiede a Paride: “ma è questo il paradiso?” vedendo il bellissimo campo di fiori.

No” gli risponderà Paride “è la terra, solo che tu non l'avevi mai vista prima d'ora”.

 

Penso che la sintesi di tutto il film sia proprio questo: vedere oltre, oltre le difficoltà oltre le immagini stereotipate. Dietro una voce sconosciuta si può nascondere un vero amore, dietro abiti e visi sporchi un'anima gentile e sincera, dietro una debolezza un vero talento... basta saperli vedere, provarci per lo meno.

 

Ho letto l'intervista al regista Giuseppe Gigliorosso e alla co-sceneggiatrice Anna Fici pubblicata qui sul sito, e sinceramente rimango meravigliata per come con così poco regista e troupe siano riusciti a fare un film di tale livello. Certamente i soldi e una buona produzione contano (e molto), ma a quanto pare non come l'entusiasmo, la capacità e la vera voglia di portare a termine un lavoro, un progetto.

Si vede che gli attori hanno più esperienza teatrale che cinematografica, il trucco e i costumi sono tipici di un lavoro teatrale più che cinematografico, e anche le scenografie “peccano” (se di pecca si vuole parlare) di “mal di palcoscenico”, ma nonostante questo non si ha l'impressione di un lavoro “amatoriale”. Ho sempre sostenuto che il talento si vede quando si hanno a disposizione pochi mezzi, e l'incapacità viene fuori quando al contrario non si riesce a valorizzare le buone risorse. In questo caso con molto poco hanno ottenuto il massimo.

 

Bravi tutti gli attori, ma una lode in più per le due donne in scena:

Stella-Roberta Murgia, che oltre ad essere bellissima, ha delle doti di fotogenia e presenza scenica non indifferenti. Alla sua prima esperienza recitativa fa un baffo a tante così dette attrici dalle belle pretese di oggi.

Duchessa-Valentina Gebbia, l'amica barbona che per scelta ha deciso di vivere per strada. L'amica affettuosa che senza doppi fini aiuta l'amico Nicola, infondendogli quella fiducia in sé stesso che aveva perso. Un personaggio un po' da favola che mi ha ricordato per l'immagine la Bette Davis-barbona in “Angeli con la pistola” (sempre del grande Capra).

 

Infine ricordo la colonna sonora originale di Francesco Di Fiore.

Arriva dritta al cuore, sottolineando i momenti più emozionanti (e ce ne sono molti).

 

Note personali.

Questo titolo l'ho conosciuto un anno fa circa, proprio in occasione della programmazione del Festival di Taormina del 2013 al quale partecipava. Un caso fortuito: il titolo del film coincideva con l'orario effettivo di un film che stavo seguendo all'epoca e che partecipava anche lui al Festival, “Oltre il guado”. Questo piccolo fraintendimento mi portò a scherzare con un mio amico all'epoca e a ricordarmi bene del film oggi.

“Ore diciotto in punto” fa intendere che il destino non è scritto da nessuna parte, che siamo noi in grado di disegnarlo ora dopo ora... ma dopo quella strana coincidenza di un anno fa, mi viene da pensare che forse non è scritto nel cielo, ma ha un ora precisa qui sulla terra.

Consiglio vivamente di vederlo, personalmente mi sono molto commossa.

Salvo Piparo, Roberta Murgia

Ore diciotto in punto (2013): Salvo Piparo, Roberta Murgia

 

 

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