Regia di Miguel Gonçalves Mendes vedi scheda film
José Saramago e Pilar Del Río. Lo scrittore portoghese e la giornalista spagnola. Marito e moglie, insieme da vent'anni. Un percorso, ricchissimo ed intenso, di due persone indissolubilmente unite eppure apparentemente diverse, le cui attività mantengono un ritmo frenetico anche quando lui ormai ha abbondantemente superato l'ottantina, eppure non smette di spostarsi da una parte all'altra del globo, per interviste, inaugurazioni, presentazioni. E lei è costantemente al suo fianco. Pilar è il l pilastro della sua esistenza, traduttrice delle sue opere in castellano, presidenta della fondazione che porta il suo nome, curatrice della sua biblioteca, organizzatrice dei suoi impegni: perché, se lui ha idee per i romanzi, lei ha idee per la vita. Il documentario di Miguel Gonçalves Mendes è una testimonianza in tre atti dell'ultima, intensa fase di un viaggio: nell'arco temporale di due anni (tra il 2006 e il 2008), la sua macchina da presa segue da vicino la coppia nel pubblico e nel privato, nelle loro partecipazioni a manifestazioni culturali – tra cui la proiezione, al 61° Festival di Cannes, del film Blindness di Fernando Meirelles, tratto dal libro Saggio sulla cecità – e nei momenti difficili, come la morte della madre di lei e la malattia di lui. Tutto il resto è letteratura, raccontata, creata, respirata, battendo i tasti del laptop, leggendo o recitando, autografando i frontespizi dei libri, ricevendo l'affetto o le critiche dei lettori. Un uomo parla di sé e intanto nasce una poesia: amara ed eterna, come la morale de Il viaggio dell'elefante, il romanzo che proprio in quel periodo José concepisce, inizia a realizzare, e quindi porta a compimento, mentre Pilar, giorno dopo giorno, prepara le pagine della versione spagnola. L'inutilità del nostro cammino terreno si rispecchia nella storia di Salomone, quel pachiderma che, dopo aver attraversato mezza Europa per il capriccio di un re, muore: le sue zampe anteriori vengono quindi segate e trasformate in due portaombrelli. L'epilogo è una riflessione sulla pochezza di significato che i nostri affanni riescono a produrre: un atto di modestia, da parte del premio Nobel, ed una sorta di beffarda ribellione alla felicità che, nello scorcio finale della sua esistenza, la sorte gli ha concesso. Occorre non arrendersi alla pacificazione con il mistero, non credere di aver afferrato il senso del tutto, e perseverare nello scetticismo, nella propria condizione di individuo alle prese con una meta sfuggente, costretto sempre e comunque a lottare. Resistere fino all'ultimo è il principio ispiratore di un legame sentimentale che riesce ad essere profondo e fortissimo nonostante l'incrollabile scetticismo di lui nei confronti dell'umanità e il persistente rifiuto a credere nella fondamentale bontà del destino, quella che altri chiamano Dio. Questo film aderisce al tempo istante per istante, lo dilata fino a mettere a fuoco le sfumature di pensiero che si annidano negli intervalli tra gli eventi: un flusso continuo eppure disarticolato, come una lunga frase senza punteggiatura, pronunciata tutta d'un fiato senza seguire gli accenti della logica, perché tutto ciò che deve accadere, accade, ed il discorso finisce lì. José y Pilar è un documentario senza commenti, una successione di immagini che catturano attimi isolati dal contesto, che sono autonomi componenti di un'unica grande idea: non ci si deve preoccupare di nulla, ma ci si deve occupare di tutto, sempre, instancabilmente, senza mai cadere nella miserevole tentazione di chiedersi perché.
Questo film ha rappresentato il Portogallo nella corsa agli Oscar 2012.
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