Regia di John Madden vedi scheda film
In India hanno un detto: «Alla fine si sistemerà tutto, perciò se non è tutto sistemato non è ancora la fine». Ma il finale di Marigold Hotel sembra non giungere mai, forse perché era già scritto nei primi 10 minuti, quando i protagonisti fanno capolino dal loro bozzolo di frustrata solitudine. Il pretesto narrativo è consunto ma potenzialmente fruttifero: prendi un gruppo di vecchi mestamente assortiti e gettali in un contesto “esotico” quanto basta a giustificare la ricerca del sé. Il Marigold Hotel di Jaipur si vende come una rilassante, confortevole pensione per umanità europea in ritiro; in realtà è il sogno fatiscente di un giovane indiano progressista (Dev Patel, da The Millionaire ad aspirante imprenditore carente in senso pratico). Gli ospiti dovranno rammendare i buchi del passato per cucire un futuro breve ma gratificante. La melensa commedia drammatica sulla terza giovinezza è un albergo per volti raggrinziti e talenti sempreverdi del cinema british. Dove pure le interpretazioni di Judi Dench (vedova esploratrice), Bill Nighy (marito evirato), Maggie Smith (zitella razzista) affogano nel chiasso caloroso e colorato di un’India sorridente e risibile: Paese di call center “illuminati”, porto di amori che furono e saranno, patria per le ceneri di un inglese omosessuale rappacificato. Gli autoctoni insegnano l’arte di arrangiarsi e le signore quella del tè, ma John Madden non ha ancora imparato a distinguere i biscotti dalla scatola.
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