Regia di Massimiliano Verdesca vedi scheda film
Quanto è innocua questa trasgressione di provincia, avvolta nella soave, ovattata sonnolenza della penisola salentina. Basta un soffio di superstizione popolare per smontarne i propositi rivoluzionari, tra le madonne di gesso ed il grande cuore di mamma. Impensabile essere veramente contro Dio in mezzo ad un’umanità che abbraccia stancamente le sue tradizioni, convinta di perpetuare il valore di antichi tesori. La costa leccese è ritratta come un deserto ricettacolo di disperazione e di reliquie, in cui la voglia di ribellarsi è tanta, però è soffocata dalla devozione ad una languida e teatrale tristezza trasmessa geneticamente. Marcello Zappatore non può continuare ad essere un rockettaro cultore di Satana. Il canone vigente è infatti quello della rassegnazione ad una religiosità casalinga, che riempie di simboli evangelici la mente addormentata ed i monumenti ai defunti, e intanto lascia che l’anima si consumi in una noia carica di lacrime e di buone intenzioni. A Marcello, che circola con un crocifisso capovolto stampato sulla maglietta nera, un giorno spuntano le stimmate. Tutto inizia con una macchia rossa che gli prude, sul lato destro del petto. Poi la ferita si aprirà e comincerà a suppurare, ed anche nelle mani e sulla fronte appariranno le piaghe della Passione. Marcello è costretto dalle circostanze a diventare migliore, ma la sua conversione di facciata lascia immutato il suo senso di impotenza. Del resto, in quell’ambiente rurale accecato dal sole, sacro e profano convivono senza pestarsi i piedi, e senza cambiare nulla, visto che ciò che conta è comportarsi bene e magari credere alla magia pagana degli esorcismi, delle indulgenze e dello spiritismo. Tutti sbandano, nell’impossibilità di trovare certezze in una storia che si è dissolta con la fine della civiltà contadina e l’inizio di quella turistica, ma Marcello è l’unico in grado di prenderne atto e trarne la dovute conseguenze. La soluzione ideale, per lui, potrebbe, essere quella di sparire: fallito il suo tentativo di suicidio, può perlomeno ripiegare sulla scelta di mostrarsi eternamente assente e passivo, assecondando le richieste altrui, modellandosi secondo le aspettative di chi dice di volergli bene. Il tono del film di Massimiliano Verdesca, regista e coautore della sceneggiatura, riproduce la svogliatezza e lo scetticismo del protagonista, uno spirito alternativo incapace di prendere il volo, e di sottrarsi all’incantesimo di una terra che è madre gelosa e possessiva, estremamente avara di risorse benché smisuratamente prodiga di amore. I guizzi di rivolta nascono di soppiatto, crescono malvisti, e precocemente muoiono per mancanza d’ossigeno. La nonna di Marcello – interpretata da una Sandra Milo più che mai frizzante, ed a tratti persino indiavolata – non sopravvivrà a lungo alla propria maliziosa smania di libertà. Lo stesso Marcello rischierà di morire per gli eccessi legati ad un martirio della carne che, in lui, non poteva conoscere mezze misure, ma era comunque destinato a finire. In quell’ambiente intorpidito, la radicalità è una fiammata che si estingue al passaggio di un’onda del mare. I flutti battono le spiagge, lavando via ogni stranezza e riportando tutto come prima. W Zappatore reca incisa, nell’artigianalità della cinematografia, la frustrazione di tanti eroi mancati, confinati in una marginalità che mortifica ogni spunto di eccezionalità. Negli estremi lembi d’Europa, l’aria è ferma in un incanto capace di infondere un’imbelle beatitudine: un immenso muro di gomma culla i sensi ed i pensieri, conferendo l’illusione che nulla al mondo possa sul serio farti del male. Il diavolo non può affondare i suoi artigli nel tuo cuore e non ci sono spigoli contro cui tu possa davvero spaccarti la testa. Le armi sono spuntate, comprese le tue, ed anche le idee sono messe in condizione di non poter graffiare. Il film ne soffre non poco, ma, in fondo, è giusto così.
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