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13 - Se perdi muori

Regia di Géla Babluani vedi scheda film

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La recensione su 13 - Se perdi muori

di alan smithee
6 stelle

Un vero remake e' un rifacimento che dopo un certo periodo un regista decide di fare, rivisitando, generalmente con un suo stile e portando avanti gli aspetti che piu' lo interessano, un'opera piu' o meno famosa, in genere di un certo valore artistico o con una capacita' attrattiva sul pubblico che ne giustifichi la riproposizione. Il cinema e' pieno di remake, basti pensare alle svariate (ed ottime) riproposizioni della trasposizione cinematografica del celebre romanzo di James M. Cain "Il postino suona sempre due volte", ad opera di autori di grido (Visconti) o comunque nomi importanti (come  Garnett e l'ottimo Rafelson). Altre volte il remake e' stato un pallido ricalco dell'ottimo originale (e gli esempi sono cosi' svariati che non occorre ne citi alcuno), in un caso un ottimo regista come Gus Van Sant ha omaggiato un mito come Hitchcock riproponendo una copia conforme e studiatissima che riprendesse pressoche' tutte le inquadrature del maestro, con qua e la' qualche piccolissima variante per stimolare lo spettatore ad un confronto non certo facile ed immediato. Altre volte ancora, e siamo al caso nostro, ad un regista, spesso un esordiente che ha brillato con la sua opera prima, viene chiesto di ripetere l'esperienza con un budget piu' consono ed attori di grido, in modo da lanciarlo definitivamente nella giungla dell'industria cinematografica di serie A. Molti di noi ricordano l'ottimo esordio del norvegese Ole Bornedal in pieni anni '90 col suo teso ed adrenalinico "Il guardiano di notte", cui segui' dopo poco tempo il piu' sciapo "Nightwatching", forte di un cast da urlo (Nolte, McGregor, Arquette, Brolin); viceversa per tornare al maestro Hitch si puo' ricordare il remake del suo inglese "L'uomo che sapeva troppo" del '34, rifatto in gran lusso e glamour nel '56 con gli straordinari Stewart/Day, un caso di remake che se non supera quanto meno eguaglia l'originale per capacita' di rielaborare la vicenda con una destrezza che il grande maestro ha sempre dimostrato, riuscendo a non farsi travolgere dal gran lusso di una budget consistente e dalle innegabili pressioni di major sempre troppo invadenti.Qui siamo esattamente a meta' strada: un giovane regista georgiano (nato nel '79) che esordisce in Francia nel 2005 con uno straordinario thriller a meta' strada tra un Hostel e il Kill me please (tutti e due comunque successivi): "13 Tzameti", tesissimo coinvolgente, denso di contenuti e che fa subito incetta di riconoscimenti e lodi (meritate). Qualche anno di silenzio (almeno da noi) ed ecco che Babluani viene ingaggiato da una produzione di livello che gli ripropone di girare lo stesso identico film, forte questa volta di un cast con nomi noti e a volte altisonanti (Mickey Rourke, Michael Shannon, Jason Statham, Ray Winstone e un Ben Gazzarra consunto da far impressione, ma efficacissimo nel rendere un ricco laido scommettitore su vite altrui, qui probabilmente alla sua ultima prova d'attore). Il risultato e' abbastanza buono, ma rivedere il bel film di sette anni prima non e' piu' la stessa magia, e l'emozione pare teleguidata, mentre gli attori di grido non giovano molto al ripetersi delle stesse tensioni (che comunque non mancano, e saranno apprezzate soprattutto da chi ancora non ha visto l'originale.
L'altro merito che gli va riconosciuto al film e' quello di farci conoscere (ed apprezzare) il Sam Riley che vedremo presto protagonista del tanto rimandato e tormentato "On the road" di Walter Salles.

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