Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Coppia di amici californiani,botanico il primo ed ex seal il secondo, condividono l'amore per una bella ragazza e la passione per la marijuana, presto trasformata in un fiorente business di qualità grazie all'alto contenuto di THC delle loro piantine. Dopo aver rifiutato di entrare in affari con un potente cartello messicano in espansione verso nord, provocano una violenta escalation di ritorsioni che porterà una spietata e vendicatica signora della droga ed il suo fido e sanguinario mastino a rapire la loro donna e a costringerli ad entrare in affari con loro.
Pur con la magniloquenza che lo contraddistingue e sfoderando un repertorio di sequenze aeree mozzafiato, serrata dialettica del montaggio e piani sequenza avvolgenti, il vegliardo del cinema hollywoodiano da sempre votato all'impegno civile e ad alte dosi di retorica, si lancia nel drug-drama patinato (ormai tutte le definizioni e combinazioni classificatorie del cinema americano sono lecite) che, come un interminabile viodeoclip promozionale, passa con divertita leggerezza dalle dinamiche action dell'hard boiled alla involontaria parodia di una moderna tragedia shakesperiana di insaziabile cupidigia, passioni violente e vendette sanguinarie.
Al netto di una confezione prestigiosa e delle buone intenzioni di un soggetto letterario (curato e adattato dallo stesso autore del libro da cui è tratto) siamo più dalle parti dell'universo posticcio e delle passioni di plastica di 'The Counselor' (anche se il film di Scott, basato sulla sceneggiatura originale dello scrittore Cormac McCarthy, è in realtà successivo) che di un'autoironica messa alla berlina dei clichè del cinema d'azione e d'avventura west-coast, tra bellimbusti che se la spassano tra sesso e droga, poliziotti corrotti e doppiogiochisti quanto basta, donne fatali e manipolatrici e l'immancabile elemento del crimine e della follia incarnato dalla maschera trucida e beffarda del (sempre) grande Benicio del Toro. I gusti sono gusti,si sa, e pur se nei 140 minuti abbondanti non ci si annoia più di tanto, il blockbuster targato Stone esercita l'ironia e la brutalità con spudorata e incurante superficialità finendo per articolare la narrazione lungo il classico binario morto della compulsione vendicatrice (con doppio finale da 'voice over' che ci tormenta per tutto il film) e disegnando una galleria di stereotipi che sfiorano il macchiettismo (il seal spicciativo e violento, lo yuppie riflessivo e sensibile, la ganza disponibile e gaudente, l''ape regina' dispotica e tormentata, lo scagnozzo trucido e sanguinario, il poliziotto corrotto fino al midollo e perfino il classico avvocato della mala che fa una brutta fine). Incongruente e viziato da evidenti buchi di scrittura cui solo il montaggio e la regia non bastano a porre rimedio, il fim di Stone non rispetta nemmeno l'assunto ideologico del titolo, laddove alle invasioni barbariche dei selvaggi venuti da sud la risposta dei gringos acculturati e gentili appare di una disarmante timidezza per rendere credibile una qualsivoglia strategia di difesa e di sopravvivenza (perfino il finale tragico e ferale ci viene negato dal buonismo dell'immancabile e stucchevole happy end). L'onda lunga del sogno americano si infrange a Laguna Beach.
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