Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Ben e Chon coltivano, confezionano e vendono marijuana in California. La loro erba (che arriva ad una percentuale di THC del 33%) è la migliore sul mercato. Il cartello della Baja, che si occupa dello spaccio di droga tra Messico e USA, vuole entrare in affari con loro. E perciò: teste mozzate, torture, uccisioni. Solo per fare capire come funzionano le leggi di questo mercato. Le Belve, traduzione errata dell’originale Sauvages (Selvaggi), che non ha il significato di bestie intese come animali senza leggi morali ma quello di uomini che vogliono ritornare ad una purezza antecedente a quella dell’ordine sociale odierno, segna il collasso del cinema di Stone, il suo stile, altre volte efficace e innovativo, qui si ricicla come copia dei propri modelli narrativi, applicati ad una storia che in maniera furba e accattivante gioca con alcuni stereotipi di certo cinema e letteratura contemporanei (la droga, la gioventù, il sesso, la guerra, la violenza). Questi elementi vengono mostrati solo in superficie, in quanto immagini, illustrazioni, senza mai arrivare a toccare un sentimento interiore condivisibile e più è l’accumulo di violenza e dolore fisico esterni più è palpabile l’assenza di una introspezione, di un vissuto tangibile dei personaggi. Stone sceglie un approccio quasi da cartoon, fumettistico, un intrattenimento per adulti lontano anni luce, però, dalle implicazioni teoriche, filmiche e morali di Natural Born Killers, per fare un esempio.
Le belve è tratto da un romanzo di Don Winslow dove lo scrittore sfrutta il linguaggio (della narrativa, del cinema, della pubblicità) in maniera eterogenea e postmoderna, alternando ad una narrazione fatta di paragrafi veloci, a volte sei o sette righe per pagina, stralci di sceneggiatura e curiose impaginazioni, per ottenere uno stile di scrittura sicuramente fluido, adrenalinico e pieno di ritmo ma incapace, come il film di Stone, di mostrarci cosa accada dentro i personaggi, dentro la storia.
Stupisce anche la messinscena di un mondo dove giovani dai 20 ai 30 anni sono in grado di fare qualsiasi cosa vogliano: detenzione e spaccio di marijuana, riciclaggio di denaro sporco, corruzione, intercettazioni, rapine, omicidi. In questa esaltazione della gioventù e delle sue possibilità (il vitale spirito capitalista), realizzate tutte al di fuori della legge sociale ma sfruttando avidamente quella del mercato, si trova forse l’aspetto più inquietante della pellicola. Poco importa che Ben usi una parte dei suoi soldi per aiutare gli altri andando in giro per il mondo e che Stone se ne freghi di dare un giudizio etico, i problemi morali che si pongono i due protagonisti non hanno spessore, perché sono solo parole di sceneggiatura e l’illusione finale di una fuga in un mondo libero e incontaminato, in cui vivere come selvaggi, lontani dalla schizofrenia della società moderna è la volgare conclusione di una favola per adulti aggiornata ai desideri e alle perversioni di una generazione appiattita e omologata anche nei suoi sogni, nell’incapacità di immaginare una vita diversa e di viverne una reale.
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