Regia di Giuseppe De Santis vedi scheda film
Il filo rosso dell'attrazione uomo donna occupa il primo piano ma lo sfondo è sociale e De Santis con negli occhi gli Usa e nel cuore la Rivoluzione lancia il suo messaggio schematico in questo melodramma rurale e prevedibile ma girato alla grande.
Schematico e stilizzato, Non c'e pace fra gli ulivi fatica ad eguagliare il precedente cult Riso Amaro però ribadisce le qualità di director di De Santis occupando un posto di tutto rispetto nella propria fimografia. Il regista a 33 anni gira d'impeto (e ci mancherebbe!) con un occhio oltre oceano (nelle fasi finali pensavo saltasse fuori Bogart da Una Pallottola per Roy di Walsh tanto le atmosfere erano simili) e il cuore oltre 'cortina' (lavoratori/contadini unitevi!). Così la convinzione e la missione sociale fanno sbandare per eccesso l'intuizione iniziale, lasciando sul campo una prevedibilità eccessiva (quasi stucchevole) ma anche tanta qualità nella messinscena. Un sostanza realizzativa di gran classe, di chi maneggia bene il mezzo cinematografico: nella composizione delle scene, nel taglio delle riprese, nell'uso del montaggio interno dell'inquadratura e anche per mezzo della consapevolezza che per colpire l'immaginario servono due cose fondamentali, il cast e le locations. Le locations di per sè subito vincenti invece il cast messo alle strette dall'inevitabile confronto con il ciclone del film precedente di solo un anno (Riso Amaro appunto...) è invitato a giocare con l'essenzialità di pochi ma ben caricati gesti, quasi robotici, con molti sguardi in camera e continue spinte emozionali dove il ballo erotico/rurale della Bosè divora lo schermo e la presenza dei due caratteri contrapposti Vallone/Lulli va oltre il classico schema di rivalità amorosa. Perché l'intento di De Santis e della sua crew era sociale, simbolico, rivoluzionario.
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