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Notte bianca

Regia di Frédéric Jardin vedi scheda film

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La recensione su Notte bianca

di degoffro
8 stelle

Polar d’azione scatenato, quasi tutto ambientato in un locale e in una notte, “Nuit blanche”, da un punto di vista narrativo e psicologico, è basico ed elementare, quasi una fiera dello stereotipo e degli eccessi. Ha in ogni caso una grinta e un’energia che la stragrande maggioranza dei prodotti americani di genere ormai ha dimenticato. Pregevole poi la regia di Frédéric Jardin (già assistente di Godard e Sautet, al suo quarto titolo dopo tre commedie) sempre addosso, in modo implacabile, ai suoi protagonisti (“Ho girato tutto camera a spalla, perché volevo essere come un giornalista a seguito di un personaggio dal vivo. Essere nella pelle di Vincent per un’ora e quaranta minuti.” ha dichiarato il regista) e molto abile nel creare un clima di tensione martellante, nonostante l’ambientazione prevalentemente chiusa, sfruttando i molteplici e diversi ambienti disposti su più piani del locale in cui si struttura la vicenda (a tratti un autentico labirinto) grazie ad uno stile di ripresa che riesce ripetutamente a rinnovarsi con angolazioni originali e mai banali, capaci di cambiare di continuo la prospettiva mantenendo viva e costante l’attenzione (in certe scelte mi sono parsi espliciti i richiami a “Omicidio in diretta” di De Palma). Certo nell’ultima mezz’ora si sfiora la baraonda e si raggiungono livelli di incredibile parossismo tra improbabili coincidenze, troppo facili scorciatoie narrative ed un sentimentalismo ai limiti dello stucchevole nel ritrovato rapporto padre/figlio (“Conti solamente tu nella mia vita.”). L’ironia di alcuni episodi (la farina, al posto della droga messa in tutta fretta in sacchetti di plastica con la collaborazione di due terrorizzati cuochi, il giocatore di biliardo con cui il protagonista di continuo si imbatte, nei suoi ripetuti andirivieni all’interno del locale, il modo in cui Vincent, definito “un poliziotto che fa le consegne a domicilio.” si presenta ai boss - “Sono un poliziotto, ma faccio anche qualche affare.”), gli eccessi quasi caricaturali di certe sequenze (la feroce e brutale lotta all’interno delle cucine tra Vincent e un suo collega corrotto, da mandare agli annali), la violenza di altre (il durissimo confronto tra Vincent e Delphine), un ritmo al cardiopalma sulle note dei Queen a lasciare senza respiro grazie anche alla scioltezza esuberante di una regia dinamica e concitata, un’ambientazione claustrofobica e asfissiante ed un carismatico protagonista che alla lunga pare un eroe imbattibile, nonostante le ferite e le botte subite (l’ottimo ed atletico Tomer Sisley, veramente in palla) garantiscono uno spettacolo fracassone ma non decerebrato e per questo godibile. Incalzante cinema sotto assedio (ad un certo punto il protagonista si trova letteralmente accerchiato) che ammicca complice tanto al blockbuster d’oltreoceano quanto al cinema di gangsters di Hong Kong e soprattutto al thriller sudcoreano (per ammissione dello stesso regista che, come titoli di riferimento, ha citato i fondamentali “Old boy”, “The chaser” e “Memories of murder”) senza però quasi mai farsene fagocitare e conservando una sua spiccata personalità, corre a perdifiato con il pedale schiacciato solo sull’acceleratore, gioca con baldanzoso umorismo su situazioni al limite dell’assurdo e fumettistiche, sforzandosi di tenersi lontano dal facile rischio di noia e ripetitività, si serve di facce ruvide e perfette, rivela una vitalità contagiosa e a tratti persino sorprendente. Nulla di epocale ma come vivace intrattenimento funziona alla grande. Prodigiosa fotografia di Tom Stern da “Debito di sangue” collaboratore di fiducia di Clint Eastwood, le cui scelte cromatiche radicali e piene di contrasti riescono a creare un clima molto forte e ansimante. Josh Spiegel ha simpaticamente e con efficacia definito il film “Die Hard in discoteca”. Ma rispetto agli ultimi capitoli della saga con Bruce Willis qui gli amanti dell’azione troveranno pane per i loro denti e non avranno di che pentirsi. Con i suoi limiti, “Nuit blanche” rappresenta artigianato di qualità con cui Jardin centra il bersaglio con la precisione di un cecchino infallibile. “Nuit Blanche si nutre di se stesso, si auto alimenta, perché è fatto degli elementi primi del cinema: luce e sonoro. E’ un’opera di spazi, di attori, di parole che ti aspetti sparisca dopo la prima visione. Un film che va consumato senza paura, ingoiato o, se preferite, bevuto perché è questo il suo segreto: condensare, dilatare e poi di nuovo sintetizzare il tempo e lo spazio.“ (Sila Berruti – www.close-up.it) Scrittodal regista con Nicolas Saada, già critico ai Cahiers.

Voto: 7

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