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The Raid: Redenzione

Regia di Gareth Evans vedi scheda film

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La recensione su The Raid: Redenzione

di Immorale
9 stelle

L’incipit iniziale del film non potrebbe essere più classico: un palazzone nei bassifondi di Giacarta, covo di uno spietato boss (Tama), sta per ricevere la visita di una squadra speciale formata da 20 uomini della polizia incaricata di fare irruzione per eliminarlo. Avvio già visto decine di volte in una miriade di film action, ha l’iniziale pregio di essere condensato in pochi minuti di dialoghi serrati ed essenziali, ben cadenzati dalle immagini e dalle riprese (dall’alto – avvolgenti, in primo piano sui volti – soggettivando) di avvicinamento della squadra all’immenso rifugio criminale. Impressionante nella sua mole, ci viene mostrato per la prima volta dallo sguardo attraverso una fessura del Sergente Jaka, dal basso verso l’alto, e subito il primo accenno di dubbio lo assale (“ci serve una barca più grossa” ebbe a dire Roy Scheider/Martin Brody in analoghe circostanze valutando l’inadeguatezza dei propri mezzi), ma preferisce tenere il dubbio per se, mentre lo spettatore prova un brivido lungo la schiena in attesa del seguito.

 

La messa in scena "interna" fa subito venire in mente alcuni classici del genere: da “i Guerrieri della notte” di Hill (il boss che controlla il palazzo con videocamere e citofoni, la “sporcizia” morale e ambientale) a “Distretto 13 – Le Brigate della Morte” di Carpenter (le torme di assedianti) fino al più recente “La Horde” di Dahan e Rocher (per l’analogia del’ambientazione), ma tali “spunti”, più o meno consapevoli, sono felicemente rielaborati secondo il personalissimo stile di Evans. Incerto diventa quindi stabilire chi siano gli assediati e chi gli assedianti, spesso anche i buoni e d i cattivi, e la tensione viene gestita in maniera magistrale: il pericolo può giungere da ogni porta o da ogni svolta di corridoi assomiglianti a stretti e mortali cunicoli, con soluzioni narrative mai scontate né scarsamente gestite da un ritmo infernale e da una violenza spesso inaudita.

 

Su questo versante, poi, Gareth Evans da il meglio di se: da anni non vedevo una simile perizia nel gestire l’azione, sia essa con armi da fuoco che a mani nude (o a colpi di machete), perfettamente fruibili in uno scambio frenetico di camera fissa, a delineare con precisione lo spazio dove far muovere gli attori, o a mano quando la situazione si fa frenetica. E le coreografie dei combattimenti sono a dir poco eccezionali , sia per resa che per la bravura di tutti gli interpreti marziali, con Iko Uways (e il suo stuntman Esa W. Sie) a primeggiare per agilità e perizia marziale, ma anche gli antagonisti e comprimari non sono da meno (Yayan Ruhian/Mad Dog su tutti), un po’ meno per qualità recitative. Ma in film come questi non è essenziale. Dopo l’ottimo Merantau” del 2009, una nuova frontiera del cinema action.  

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