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Scusa, mi piace tuo padre

Regia di Julian Farino vedi scheda film

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La recensione su Scusa, mi piace tuo padre

di M Valdemar
4 stelle

Con un andamento fiacco, monotono, docile docile, da tvmovie di fascia pomeridiana, Scusa, mi piace tuo padre (Scusate titolisti italiani, mi fate pena - il titolo originale è The Oranges, in riferimento a Orange Drive nel placido New Jersey) procede per rimasticamenti e riproposizioni mosce di cose viste, riviste, rigurgitate.
Già dopo pochi minuti s’affaccia gaia la noia e non viene più via, come una macchia indelebile che da cretini ci si procura per poca attenzione o avvedutezza. La spossatezza abita qui.
Senza nessun sussulto nel blando ritmo, ma anche privo di una qualsiasi pur vaga carica comica e tragicomica, il film sviluppa mestamente l’ennesima tematica della crisi familiare, nel caso specifico dovuto (ma è solo il casus belli, grande riflessione) alla repentina relazione tra un pacato maturo padre di famiglia (Hugh Laurie) e una spigliata ventiquattrenne (Leighton Mester), figlia del suo migliore amico nonché dirimpettaio. La “sporca” faccenda ha un effetto domino su entrambi i clan coinvolti, in particolare quello di lui: la moglie abbandona la casa coniugale, la figlia, tra l’altro ex amica della nuova ragazza del padre, in un sol colpo perde le poche certezze della sua esistenza, mentre il figlio maschio, già spasimante della giovine “sfascia famiglie”, sparisce anzitempo in Cina per poi tornare nel finale scoprendo la lieta sorpresa (!).
Trattando, appunto, temi triti e risaputi - come i problemi di coppia, l’amicizia, i complicati rapporti figli-genitori, la differenza di età tra amanti, la riscoperta di se stessi (la moglie tradita, prima arcigna motivatrice-organizzatrice di puerili eventi da quartiere, scopre la vocazione da volontariato), le crisi di mezza età, i pregiudizi, le “regole” della società civile, e quant’altro - malamente e in fortissimo debito di creatività, The Oranges difetta e delude praticamente in tutto.
Non solo la scrittura non è affatto brillante, ma è pure lontana dai requisiti minimi di accettabilità, spiegandosi, in maniera singhiozzante e caoticamente banale, per mezzo di scenette che non possiedono né profondità né brio ma che soprattutto non producono alcunché se non stanchezza.
L'ambientazione natalizia, i comprimari scarsamente interessanti e definiti (si veda il personaggio di Adam Brody: un ectoplasma senza personalità di cui si perde immediatamente memoria), l’assenza totale di erotismo (al massimo qualche casto bacetto, giusto per il pomeriggio in famiglia), la messa in scena standardizzata, le poche scene potenzialmente sfruttabili (specie dal punto di vista umoristico) subito disinnescate dall’insipienza registica, le derive da soap opera: elementi tutti che delineano un quadro tutt’altro che riuscito e piacevole.
Nel quale disastro è finito, suo - e nostro - malgrado, un più che sprecato Hugh Laurie, parso infiacchito in un ruolo modestissimo al quale non è riuscito a conferire la sua tipica verve.
L'accoppiata con l’avvenente Leighton Meester (non un’incapace ma non molto distinguibile dalle tante troppe divette della sua età), in teoria promettente, infuocante, in sostanza invece non funziona; schiacciata, com’è, dal peso della pochezza di idee e dal colpevole sottoutilizzo di corpi e volti.
Certo The Oranges almeno scansa le “irrinunciabili” corpose dosi di scurrilità e cattivo gusto di quasi tutte le commedie americane, ma l’inconsistenza dell’operazione è poco comprensibile e giustificabile.

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