Regia di Marc Forster vedi scheda film
La vera storia dell'attivista statunitense Sam Childers, ex galeotto tossicodipendente convertitosi alla causa grazie alla comunità religiosa frequentata dalla giovane moglie durante il periodo di detenzione del consorte, ha senz'altro la nobiltà di spirito e l'importanza etico-civica per interessare il cinema e una sua doverosa trasposizione, che serva magari anche a rendere noto l'impegno e la causa portata avanti da questo controverso personaggio redento e illuminato dopo l'oblio della detenzione.
E, almeno sulla carta, la scelta di un regista impegnato, ma pure molto versatile, distintosi nell'action dirigendo un buon James Bond di recente fattura, posto a dirigere l'adattamento di un romanzo tratto dalla esperienza vera di questo “eroe per caso”, trovava in Marc Foster un promettente e plausibile candidato per la migliore riuscita.
La vicenda di un delinquente di mezza tacca, redento per caso, per tacer della moglie, verso la strada del volontariato più militante e rischioso, nella direzione di missioni dirette nella zona più martoriata del Sudan, oggetto di guerre civili e genocidi di bambini o di massacri senza pietà, è tuttavia raccontata dall'altrove interessante cineasta, in maniera a mio avviso scontata e pedestre; soprattutto nella costruzione approssimativa, stereotipata e superficiale del suo controverso protagonista: che trova nel muscolare e spesso sopravvalutato bisteccone monoespressivo rappresentato da Gerard Butler, lo strumento più efficace per portare al fallimento anche le migliori intenzioni.
E, come se non bastasse, per farci tornare al peggio dell'action anni '80, sulla scia roboante e ottusa dei vari Rambo II e III, per non parlare di quella della micidiale coppia Joseph Zito/Chuck Norris (Invasion Usa e altri scempi), di Delta Force e Over the top: tutti simboli di patriottismo più esasperato e imbecille, che finiscono per sotterrare e insultare le ragioni di una storia che, al contrario, è seria e sarebbe meritevole di ben altre strade o soluzioni rappresentative: sembra di tornare indietro insomma, alle scelleratezze reaganiane enfatiche e tronfie, qualunquiste e vuote di metà anni '80, opera quasi sempre della tremenda coppia Golan/Globus, ovvero della famigerata casa di produzione Canon.
Nulla da eccepire dunque alla serietà di fondo del discorso che, senza ombra di dubbio, sta alla base della vicenda (ed anzi onore al merito per un'anima redenta, quella del vero protagonista ed eroe, così concretamente attivo nella salvaguardia di giovani vite innocenti, contrappasso coraggioso e encomiabile dopo decenni sprecati nel mondo della delinquenza e del malaffare), e notevolmente realistiche alcune scene di massa e di massacro che fanno da doveroso necessario corollario ad una vicenda fin troppo privata.
Ma quando interviene Butler, faccia da schiaffi senza rimedio,
delinquente banale prima e un attimo dopo sceriffo convertito alla causa, immune ai proiettili (specie quando manda avanti a lui poveri scagnozzi a farsi massacrare....!?!) tutto scricchiola e frana nella melassa più edulcorata e fastidiosa, che non rende omaggio alla realtà e alla storia di un atto di eroismo e di generosità che era inevitabile esprimere e rappresentare in modo più dignitoso e meno stereotipato.
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