Regia di Marc Forster vedi scheda film
Un personaggio quanto meno insolito, con una vita pienissima di tutto, a partire da incredibili cambiamenti, non è facile da trattare cinematograficamente.
Fornisce spunti molteplici, ma ricollocarli, e unirli, all’interno di un percorso, non è un’operazione semplice, tanto meno per Marc Forster, qui probabilmente alle prese con il film peggiore della sua carriera.
Appena uscito dalla prigione, Sam Childers (Gerard Butler) si ricaccia subito nei guai, ma quando tocca il fondo, con l’aiuto di sua moglie Lynn (Michelle Monaghan) trova la via per cambiare.
Rimessosi in sesto e avvicinatosi alla parola di Dio, Sam vola in Sudan, dove prende a cuore le sorti di tanti bambini sfortunati in un’area esposta a un sanguinoso conflitto, abbracciando la sua causa al punto di mettere tutto il resto in secondo piano.
Basato sulla vita di Sam Childers, Machine gun preacher fa acqua da tutte le parti, in alcune delle quali piove proprio a dirotto, a cominciare dal passaggio da sporco e cattivo a uomo timorato e fedele, a dir poco repentino, per una parabola redentiva che non si pronuncia oltre la parentesi.
Tante intenzioni - ammirevole riportare in luce la poco citata realtà del Sudan – ma qualità quasi del tutto assenti, con immagini che infieriscono, ma descritte con una grammatica cinematografica basica, diventando in questo modo slegate ed eccessivamente enfatiche.
Di questo è responsabile un montaggio disarticolato, con salti bruschi e virate quasi nemmeno introdotte, per una rappresentazione deficitaria che vanifica potenzialità simboliche ed evocative.
Il salvabile è rintracciabile nella colonna sonora - con un’apertura dettata da suoni distorti e le parti africane all’insegna di riverberi piuttosto ricercati – non tanto nel sempre apprezzato Michael Shannon, impegnato con un personaggio avaro di soddisfazioni, mentre Gerard Butler si cala in una parte che piace molto alle star hollywoodiane - droga, redenzione, fede, cuore, violenza e azione, tutto in un solo corpo scenico - anche se la sua descrizione, soprattutto quando s’improvvisa soldato aggiunto, lascia interdetti.
Per Marc Forster si tratta di un lavoro deludente, nel quale manifesta difficoltà nell’associare anche i passaggi più semplici e l’incapacità di capire che toni troppo enfatici ed esagerazioni sintattiche possono passare in secondo piano in un film come World war Z ma sono repellenti quando bisogna fare i conti con la realtà, tanto più se così impervia.
Nei pressi del disastro.
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