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Kinetta

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su Kinetta

di Kurtisonic
7 stelle

Il lungometraggio di Y.Lanthimos contiene in forma embrionale i temi che il regista ha sviluppato nei due successivi lavori, Kinodontas e Alpeis, che dal punto di vista estetico appariranno più corposi e dotati di una lettura meglio identificabile. Kinetta sotto questi aspetti risulta meno accettabile, frammentato, in alcuni passaggi disomogeneo, volutamente ostico e disturbante. L'impressione è che questi tre interessantissimi film siano intrinsecamente collegati fra di loro fino a costituirne un corpo unico nel quale discernere elementi di contatto e di continuità che hanno avuto la necessità di una lenta gestazione che superasse la singola visione per descrivere con efficacia i contenuti simbolici comuni. Teatralità, freddezza, stratificazione della violenza nei rapporti umani, fra l'assurdo e il surreale il mondo del regista greco sembra una rivisitazione in chiave moderna e individualista della tragedia greca. Dopo diversi minuti dall'inizio la prima frase sospesa, una delle poche dal senso compiuto dell'intero film: "Ho qualcosa dentro l'occhio? " L'invito del regista a guardare con attenzione, a non distrarsi, per sentirsi addosso il disagio, la disarmante condizione esistenziale rappresentata. Più vicino alla documentazione che alla esplicazione intellettuale, Lanthimos filma quasi con mano amatoriale, sottolinea l'ingenuità dell'immagine e la sua vuota verità. Come negli altri lavori l'uomo è apparentemente al posto di comando, dirige e indirizza l'evento tragico da rappresentare suscitando un forte sentimento di ripugnanza. La donna è parte in causa dell'azione, è una figura destinata a soccombere, ma l'unica dalla quale può fuoriuscire del sangue, portatrice di ferite morali e fisiche che drammaticamente le danno la possibilità di avvicinarsi al mistero assoluto della vita e della morte. Mentre la figura maschile non supera la dimensione prevaricatrice e violenta della sua autoriproduzione, la donna vive fino alle estreme conseguenze la simulazione delle esperienze messe in scena. In Kinetta, due uomini, un fotografo e un agente statale che si occupa di permessi di soggiorno, filmano e ricreano eventi delittuosi di cronaca vera con l'aiuto di donne immigrate che collaborano sotto ricatto. Mentre per le donne, in particolare per un'addetta alle pulizie di un hotel, la partecipazione ai filmati offre una via di ricerca di senso e di partecipazione alla vita reale (anche se di altri), per l'uomo è solo un disperato esercizio del proprio potere, destinato ad infrangersi davanti allo sgorgare autentico del sangue e del dolore. Non gli resterà che la ripetizione, la riprova all'infinito contro un mondo che sembra non potere mai offrire qualcosa di diverso che i suoi consolidati schematismi ieri imposti con l'ideologia e dogmi vari, oggi dal consumismo materiale. Il film, quasi privo di dialoghi viene arricchito in una sequenza dalla richiesta di uno dei protagonisti di tradurre in altre lingue il nome degli oggetti, come se identificandoli con una sonorità diversa se ne potesse attribuire un valore differente. La tecnica di ripresa adoperata aumenta l'effetto disturbante e di rifiuto della vicenda, dove i personaggi cercano di rivivere quello che ha prodotto la fine degli altri dentro una cornice privata, sottraendogli la sua funzione pubblica di cronaca e di elaborazione. Il mondo che fa da contorno, è quello del pubblico, complice passivo, attonito e silente, davanti a una realtà che a volte non si vuole vedere, perchè insopportabile. 

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Ultimi commenti

  1. amandagriss
    di amandagriss

    "La donna è parte in causa dell'azione, è una figura destinata a soccombere, ma l'unica dalla quale può fuoriuscire del sangue, portatrice di ferite morali e fisiche che drammaticamente le danno la possibilità di avvicinarsi al mistero assoluto della vita e della morte": grande verità, che potrebbe estendersi anche al film che ho visto ieri, "1303", è un horror o meglio una ghost story, che potrebbe non valere nulla o forse non vale nulla eppure si apre ad una lettura più profonda, riguardo alla colpa ancestrale di essere nate donne (se così posso dire), alla loro predisposizione 'naturale' alla sofferenza, al loro "vivere fino alle estreme conseguenze", al loro soccombere. è possibile che il legame con questo aspetto di Kinetta lo veda soltanto io però la tua frase rispecchia bene ciò che ho pensato mentre vedevo il film e, tra parentesi, proposto in un 3d scandaloso per quanto è risultato inutile, della serie "ci vuole coraggio a fare una rapina senza pistola"..... cmq gran bella riflessione, ciao

    1. Kurtisonic
      di Kurtisonic


      RispondiGrazie per la visita, @amandagriss,1303 non lo conosco ma la rappresentazione femminile nei tre film di Lanthimos è proprio subordinata all'impotenza spirituale maschile e non sembra solo un facile schematismo. Un saluto a 3d.

      Rispondi

    2. amandagriss
      di amandagriss

      :)

  2. Peppe Comune
    di Peppe Comune

    Cinema bello e ostico quello di Lanthimos (non ho ancora visto "Alps"). Trovo che in esso si attui una radicale destrutturazione del linguaggio, (non solo cinematografico) e che un ruolo fondamentale sia attribuito alla parola, tanto presente in “Kynodontas”, usata come strumento di potere nelle mani dei genitori, quanto assente in “Kinetta” , costretta com'è alla ripetizione "robotica" di frasi imparate a memoria. Un altro aspetto è l’assoluta spersonalizzazione dei personaggi che in entrambi i film si materializza attraverso dei corpi costretti a muoversi in ambiti territoriali assai ristretti e lasciati liberi di manifestarsi oltre il limite delle più innocenti evasioni. Questo accresce la sensazione di calcolata impotenza che s’intende infliggergli. Ottima riflessione su un film che mi ha messo a dura prova. Ciao

    1. amandagriss
      di amandagriss

      perbacco! ce l'ho registrato da fuori orario, devo vederlo e pure gli altri 2, ciao

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