Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
In una località balneare sulla costa greca, due uomini danno vita ad uno strano gioco che oscilla tra il macabro e la deviazione sessuale : la ricostruzione scenica di fatti di cronaca che hanno riguardato violenze brutali contro le donne. Un uomo (Costas Xikominos), che forse è un agente di polizia, si preoccupa di fornire le storie nei loro minimi dettagli, l’altro (Aris Servetalis), con la telecamera digitale a spalla (la Kinetta del titolo) le filma aiutato da ragazze che fungono da attrici assai improvvisate. Tra queste c’è la cameriera (Evangelia Randou) dell’albergo dove si svolgono la maggior parte delle riprese. La ragazza entra a tal punto nel meccanismo perverso messo a punto dai due uomini da simulare la parte che gli tocca interpretare in ogni ora del giorno, fino a procurarsi un reale dolore fisico.
“Kinetta” è il lungometraggio d’esordio del greco Giorgos Lanthimos, un film di agghiacciante aridità emotiva, una desolante liturgia sulle incomunicabilità contemporanee condotta con una secchezza di stile che non fa sconti sul piano di una ricercata accessibilità d’approccio. “Kinetta” precede il più celebre “Kynodontas” e si può dire che sotto molti versi gli apre la strada, nel senso che in questo già è presente quell’apparente approssimazione stilistica, che fa leva sullo sguardo "obliquo" della telecamera e su un certo compiacimento sadico che aleggia nell’aria, che nel lavoro successivo arriverà a livelli di più compiuta maturazione formale. Avendo già visto”Kynodontas” (e avendolo assai apprezzato) ed essendo “Kinetta” un film di difficile interpretazione, mi tocca usare l’astuzia e giocare un po’ di sponda. A parziale “discolpa” occorre ricordare che quando ci si trova di fronte ad un autore che tenta di partorire attraverso lo strumento cinematografico che ha a disposizione uno sguardo diverso con cui guardare il mondo, i tratti distintivi della sua poetica fungono quasi sempre da matrice qualificante di ogni suo film. Due aspetti accomunano i due film. Il primo è il fondamentale ruolo attribuito alla parola, tanto presente in “Kynodontas” quanto assente in “Kinetta”, tanto modellata e veicolata per farne uno strumento di potere nelle mani dei genitori nel primo film, quanto inabissata nella robotica ripetizione di frasi imparate a memoria nel secondo. In entrambi i casi è in corso una radicale destrutturazione del linguaggio, cinematografico e non solo. Il secondo aspetto è l’uso che si fa dei corpi, che in entrambi i film si fanno muovere in ambiti territoriali assai ristretti e lasciati liberi di manifestarsi oltre il limite delle più innocenti evasioni. Questo accresce la sensazione di calcolata impotenza che s’intende infliggergli, una sensazione che oscilla tra l’innocua istintività degli impulsi sessuali e la colpevole mercificazione delle emozioni più care. Il tutto conduce all’assoluta spersonalizzazione dei personaggi rappresentati, indotti a seguire sempre e solo una volontà eterodiretta. Le parole e i corpi sono sempre in possesso di altri nel mondo dell’anonimia istituzionalizzata, e questi altri sono sempre oggetti non identificati e mai identificabili. In entrambi i film, i personaggi non hanno mai un nome, non sappiamo mai dove si trovano di preciso e quando parlano tra di loro non fanno mai riferimento a luoghi o persone. E’ come se in loro si fosse prosciugata ogni impulso vitale, sottomessi con fermezza alla legge dell’ordine e al culto degli oggetti. In “Kinetta”, questa sensazione di avvenuta impotenza dell’uomo moderno è ancora più forte perché più al limite è condotta l’opera di scarnificazione di ogni implicazione sentimentale. Il ciò è dovuto anche alle tecniche di ripresa, con una camera a spalla (proprio come uno dei protagonisti) sempre traballante e spesso fuori fuoco, intenta ad ignorare l’azione che dovrebbe interessarci per soffermarsi su particolari insignificanti. Occorre ribadire quanto già scritto da Emidio (Bradipo 68) nella sua recensione, e cioè che “Kinetta” è un film assai ostico, adatto per chi è interessato ad incamminarsi lungo i sentieri cinematografici più incidentati. Per la curiosità di scorgervi l’intenzione di guardare il mondo da un’altra, possibile, angolatura.
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