Regia di Agnieszka Holland vedi scheda film
Piaga inguaribilmente purulenta e infetta, ancora una volta la Shoah trova sollievo in quella garza sterile che è il grande schermo. Succede anche per In Darkness, pellicola polacca candidata agli Oscar come Miglior Film Straniero e ciò sebbene non spicchi certo per originalità. Il contesto, infatti, è quello dell’occupazione nazista (e poi russa) subita dalla Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale (già vista, per esempio, in Katyn), mentre il protagonista, Leopold Socha, è una sorta di Oskar Schindler autoctono, di eroe scopertosi tale per caso, avendo lui, operaio fognario e ladruncolo di second’ordine, nascosto per 14 mesi una dozzina di ebrei nei labirinti del sottosuolo di Lvov. Prima per soldi, poi solo per compassione umana. Ovviamente la regista, la pur brava Agnieszka Holland, non ha certo la mano e l’occhio di Spielberg (com’è evidente nel brusco finale), ma le va comunque riconosciuto il merito sia di aver girato quasi completamente nel buio dei labirinti sotterranei (assimilato all’orrore dell’Olocausto) sia, allo stesso tempo, di aver restituito agli ebrei, vittime per una volta non certo idealizzate, una corporeità che fino a questo momento, persino al cinema, veniva sfumata. Anche sotto le bombe, infatti, si fuma, si mangia, si fa sesso e addirittura ci si masturba. E in questo modo si rivendica quell’umanità che i nazisti hanno provato a negargli.
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