Regia di Michael Brandt vedi scheda film
Uno dei thriller-action più bruttini che abbia mai visto. Una contingenza, tutto sommato abbastanza normale, ha collocato questa uscita nelle sale a fianco di un'altra più o meno analoga. Certo, tra questo film e l'altro ("Safe house") le differenze sono molteplici ma è indubbia la comune appartenenza di entrambe le pellicole al medesimo genere cinematografico. E si tratta di un confronto impietoso, perchè ci fa apparire il film con Denzel Washington come una pellicola da Oscar se paragonata al suo misero "concorrente". Tanto "Safe house" è ricco di situazioni e sfumature nonchè portatore di una recitazione quasi ineccepibile, altrettanto questo "The double" è di una sciatteria che sfiora l'imbarazzante. La prima impressione che ne ho avuto è stata di una messa in scena povera di tutto, di una storia scritta senz'anima, rivelando sentimenti ed atteggiamenti dei protagonisti che obbediscono a criteri narrativi banali, scontati, automatici. Nessun guizzo vero, nessun pensiero intrigante, che escano dalle teste dei personaggi, e dunque dalle teste della coppia di sceneggiatori (uno dei quali è lo stesso regista, Michael Brandt). Quello che regna su tutto è un vago senso di svogliatezza, di nessuna adesione emotiva alla vicenda (peraltro forzata e ben poco credibile). L'impressione è che sia Richard Gere che Topher Grace siano lì solo perchè c'è un contratto da onorare, il loro coinvolgimento trasuda manierismo, sembra quasi che il regista non li sappia guidare e allora essi improvvisino secondo il loro "mestiere". Ma se Grace è un cosiddetto "astro nascente" (ma ancora in fasce!), quello che sconforta è vedere un Richard Gere che sembra non veda l'ora di andarsene a casa. E sono cose che fanno male, soprattutto al cinefilo consapevole reduce dalla visione di "Safe house". Da una parte due prove vibranti ai limiti dell'eccitante, dall'altra due attori al loro minimo sindacale. E soprattutto -lo ripeto- un Gere che sembra spento. Ma già che ci siamo, mettiamo sotto la lente anche qualche altro aspetto. Per esempio quei due o tre flashback. Saranno anche dettagli ma che alla fine delineano scelte di stile piuttosto rozze e ordinarie: vedere quei flashback affidati alla banale scelta di un colore grigiastro è qualcosa che fa storcere il naso per la poca cura che emerge da soluzioni di questo genere. Poi c'è un altro dettaglio che mi ha sorpreso non poco: una colonna sonora non brutta, ma proprio orrenda. Raramente avevo assistito ad un commento musicale così inopportuno e ridicolo. Basti pensare al brano che accompagna i titoli di coda: una specie di pop metal disgustoso. Inoltre (ma questa è una percezione personale di cui si può discutere) io ho riportato l'impressione che tra i due attori protagonisti non esista quel quid che è invece fondamentale e che viene chiamato "alchimia". E son dettagli che il sottoscritto (da amante di un cinema d'attori) si impegna a cogliere ogni volta, soprattutto osservando ciò che gli attori esprimono con gli occhi; sguardi e posture si rivelano preziosi segnali del grado di interazione fra due o più attori che interloquiscono tra loro. Ebbene, sotto questo punto di vista, ho avuto la triste sensazione che Gere e Grace interagissero senza nessuna emotività, freddamente, come se dialogassero sì, ma in realtà ognuno pensasse solo a sè stesso e al proprio copione. Intendiamoci, loro recitano se vogliamo anche dignitosamente, ma non ci mettono l'anima, non si "spendono". Ritengo che il film potrà soddisfare, tra gli abituali frequentatori di multisale, solo quelli di bocca buona, gli amanti dei thriller senza pretese, oltre che naturalmente le numerose estimatrici di Richard Gere, benchè -come prima accennavo- qui egli appaia ben poco motivato. In buona sostanza a non funzionare è innanzitutto la messa in scena, impostata su criteri di ordinarietà affidandosi ad una sceneggiatura scritta svogliatamente e senza amore, zero stimoli e nessun vero brivido, se si esclude qualche sussulto qua e là, anch'esso ordinario come fosse ispirato ad un manualetto semplificativo. Il film oscilla continuamente tra momenti da prodotto destinato all'home video e suggestioni (involontarie?) da B-movie. E' una storia di spie e di doppiogiochisti, come gran parte dei recenti action usciti nelle nostre sale. Come già notai in sede di recensione di "Safe house", purtroppo è un genere che accusa stanchezza e ripetitività, elementi cui si può tentare di sopperire esibendo attori protagonisti in gran spolvero. E non è questo, va da sè, il nostro caso. Piccola parentesi che subito chiuderò: mi piace segnalare che quando dietro la macchina da presa c'è un genio e quando gli sceneggiatori ci si mettono davvero d'impegno, beh, anche in questo campo si possono confezionare capolavori. Mi riferisco, ovviamente, al recente caso de "La talpa". La sceneggiatura, anche se ambienta la vicenda ai giorni nostri, prende le mosse ai tempi della guerra fredda, quando un misterioso e spietato killer sovietico, in codice "Cassius", aveva assassinato nell'ombra decine di persone. Ora lo spettro di Cassius ritorna a rivelarsi attraverso l'omicidio di un senatore americano, dunque smentendo coloro che lo avevano dato per morto e sepolto. Una storia del genere avrebbe richiesto alla regìa una mano ben più determinata, mentre qui tutto appare piuttosto moscio, salvo qualche svogliata impennata. E anche il tema centrale, quello che dà il titolo al film e che è poi quello del "doppio", è argomento ampiamente visitato da cinema e letteratura. Peccato che qui sia affrontato con qualche banalità e -soprattutto- esso ispiri due importanti colpi di scena uno più improbabile dell'altro. Pazienza per il primo dei due che, anche se arriva troppo presto (a pochi minuti dall'inizio) può comunque rientrare in una certa idea di strategia narrativa, ma è il secondo che è irragionevole perchè arriva troppo tardi e lo spettatore non ha più tempo nè voglia di rielaborare quanto finora visto alla luce dell'ultima destabilizzante novità, peraltro assai poco credibile. Quanto poi alle suggestioni da guerra fredda, in più momenti evocate, anch'esse appaiono soltanto pretestuose. I due agenti protagonisti non sono sufficientemente caratterizzati in sede di sceneggiatura: Gere esibisce un tormento interiore che ci appare decisamente di maniera e non abbastanza convincente, mentre Topher Grace porta a spasso per tutti i 98 minuti una poco incisiva faccia da pivello che non la si può prendere sul serio, men che meno quando egli ci svela la ridicola "sorpresona" conclusiva. Ma allora, possibile che in questo film non ci sia nulla da salvare? A dire il vero sì, ed ha le fattezze di due bei volti d'attori. Prima di tutto colui che è il vero special guest del film, l'illustre veterano Martin Sheen. Seppure in tale non esaltante contesto, il vecchio Sheen riesce con la sua immutata carica carismatica ad apparire sicuro ed autorevole. Una vera colonna di Hollywood, oltre che la dimostrazione vivente che non è un fisico sexy ma bensì una presenza magnetica a decretare il carisma di un grande attore. E per finire, la vera unica sorpresa di un film che sarà presto dimenticato: la meravigliosa Odette Yustman. Una chioma corvina che incornicia un viso dolcissimo che emana bagliori di grazia, un angelo del paradiso che vorremmo vedere più spesso al cinema. Ma siccome è ovvio che nè il solido Sheen nè la soave Yustman possono da soli giustificare il prezzo del biglietto, non mi resta che sconsigliare la visione.
Voto: 5
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