Regia di Robert Frank vedi scheda film
La differenza che intercorre fra Beatles e Rolling Stones è la stessa che c’è fra droghe leggere e droghe pesanti. E questo sgraziatissimo, rimaneggiatissimo, proibitissimo documentario è fedele testimonianza della veridicità di quanto appena detto: fra le scene più discusse ci sono infatti per ben due volte quelle di eroinomani che si fanno in vena. E poi c’è sesso libero, tanto sesso libero, groupies nude dappertutto, canne che girano nelle camere d’albergo e un senso di anarchia, ma anche di totale irresponsabilità, che letteralmente le immagini del film trasudano. Ma attenzione: in nessuna di queste attività vengono coinvolti direttamente i cinque della band: sono sempre i roadies, i tecnici e la troupe del tour che vengono beccati nei momenti più hard; il massimo che fanno gli Stones è scaraventare un televisore giù dal terrazzo, sul balconcino sottostante, per mano di Keith Richards e di un tecnico. Il che probabilmente significa che già questa versione di Cocksucker blues rappresenta un racconto edulcorato e abbellito dell’orgia infinita che dev’essere stata il tour di Exile on main st.; ciononostante comunque l’opera fu realizzata (o assemblata, meglio, poiché si tratta di un montaggio piuttosto rude di spezzoni molto vari tra loro per contenuti, durata e... resa estetica) contro il volere del regista stesso e, come biasimarli?, anche dei componenti della band. Curioso destino per un lavoro che porta il titolo di un brano soggetto a simili vicissitudini: Cocksucker blues – per chi non ne conoscesse la traduzione: non avventuratevi a cercarla e accontentatevi di sapere che si tratta di qualcosa di decisamente osceno (un motivo in più per cercarla, insomma) – venne partorita da Jagger & co. come goliardata finale per concludere gli impegni contrattuali con la Decca records e finì infatti cestinata, ma l’interesse del pubblico ovviamente la riportò alla luce molto presto, con lo status di brano ‘maledetto’, grazie al mercato sotterraneo dei bootleg. Qualcosa di simile è successo al film, oggi reperibile in rete ma effettivamente indisponibile nei negozi. Colpisce la scarsa importanza data alla band in un lavoro che punta l’obiettivo piuttosto sull’euforico degrado della vita da rockstars; d’altronde un simile backstage, tanto disordinato, promiscuo, vivace, tossico, rumoroso, su di giri se lo potevano permettere solamente gli Stones (e fra gli altri si vedono passare Tina Turner, Truman Capote, Stevie Wonder). Qualche minuto di esibizioni sul palco concede quindi il giusto spazio a quelli che dovrebbero essere gli effettivi protagonisti del film; ed è un piacere riassaporare, seppure tagliate, seppure riprese in maniera approssimativa e sbilenca, canzoni come Happy, Brown sugar, Street fighting man. 6/10.
Documentario - assolutamente non autorizzato alla diffusione - che riprende il dietro le quinte del tour che gli Stones tennero in seguito alla pubblicazione di Exile on main st. (1972).
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