Regia di Pierre Granier-Deferre vedi scheda film
1939. Profughi belgi e francesi in fuga dall'invasione nazista. Buona prova di Romy Schneider e Jean-Louis Trintignant, ma soprattutto ottima ambientazione e uso efficace di documenti d'archivio.
Pierre Granier-Deferre realizza un solido e convincente film di guerra, che non è piaciuto e non piacerà agli amanti del genere bellico in senso stretto. La vicenda si svolge nel 1939, nelle giornate in cui migliaia di cittadini belgi e francesi lasciarono le loro città, diretti a Sud o verso l’Atlantico, per sfuggire all’incalzante occupazione tedesca. Il film segue le peregrinazioni di un treno stracarico di profughi, nel quale s’incontrano e si amano fugacemente Julien, giovane elettricista la cui famiglia è dovuta salire su un altro vagone, e Anna, un’affascinante tedesca ebrea. La guerra, pur onnipresente e documentata con filmati d’archivio, resta costantemente in sottofondo. Il vero protagonista del racconto è il treno indicato dal titolo, raffigurato come microcosmo sociale. Anna e Julien viaggiano in compagnia di varia umanità, dall’ex-combattente della Grande Guerra, al disertore che tenta di intrufolarsi nel fuggi fuggi generale, passando per la prostituta disposta a farsi proteggere dal primo pollo che le capita a tiro, la ragazza madre con pargolo al seguito, il rifugiato spagnolo del ’36 e via di seguito. I vari personaggi, anche se ben interpretati, sono descritti in maniera un po’ schematica e l’improbabile vicenda amorosa tra Romy Schneider e Jean-Louis Trintignant lascia il tempo che trova, anche se il livello delle loro interpretazioni è elevatissimo. Il film scorre comunque in maniera spedita e sul piano narrativo non delude. Devo riconoscere che questa mia opinione è condizionata da ricordi personali.
“Nom de dieu, les cochons sont là!” avrebbe esclamato mio nonno nell’autunno del 1939, vedendo i primi aerei tedeschi sorvolare il cielo di Bruxelles. Reduce della Prima Carneficina Mondiale, prese armi, bagagli e famiglia e si avventurò verso Sud con i mezzi più vari e improvvisati. A più riprese, durante la mia infanzia, mi sono fatto raccontare quella traversata da mia madre, deceduta quest’anno. Il film non ha tradito le immagini che, da bambino, mi ero costruito.
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