Regia di Hanna Sköld vedi scheda film
La ribellione conosce tante forme. C’è quella violenta ed insensata dei vandali e dei bulli (e, come in questo film, del gruppo di naziskin, a cui appartiene la giovane Mette) e quella folle di chi non si vuole arrendere all’inevitabile (come quella che, in questa storia, colpisce gli anziani e i malati che la stessa Mette, durante il giorno, segue in qualità di assistente domiciliare). A queste manifestazioni estreme, e quasi sempre incontrollabili, esiste però un’alternativa: ed è l’amore per la propria diversità, che si può anche chiamare disagio o sfortuna, ma che si può comunque docilmente abbracciare, rimanendo, nonostante tutto, disponibili a lasciarsi sorprendere dalla vita. L’esistenza di Mette è divisa a metà, e si colloca, di fatto, a cavallo fra due distinti tipi di frattura tra l’individuo e il mondo: quella che passa attraverso la rabbia e l’odio, e si scatena verso l’esterno, e quella che induce ad un perverso ripiegamento in un’intimità solitaria ed anomala. In entrambi i casi, l’arbitrio assume la veste di una deviazione dannosa ed egocentrica. La dolce fantasia dell’arte e della poesia ne è, invece, la versione pacifica e condivisibile, che dà i suoi frutti in quel silenzio che, solitamente, circonda il vero amore. Mette partecipa, una notte, ad un’aggressione contro Harald, il giardiniere del cimitero, un uomo debole e svantaggiato; qualche giorno dopo, lo rincontra e se ne innamora. La ragazza scopre, così, quella terza via che non ammette strategie precostituite (come quelle tipiche della politica o del crimine, o anche delle terapie che seguono precisi protocolli clinici). Abbandonarsi generosamente al proprio essere equivale ad aprirsi al mondo, anche alle sue espressioni più stravaganti e sfuggenti, per scoprire una bellezza nascosta e intraducibile in parole. Si scorge un invito a ritornare alla semplicità dei bambini, a guardare alla realtà con occhi innocenti, curiosi e sereni, in quelle animazioni di carta colorata contenute nella sigla di apertura, che ricompaiono, nel corso del film, come siparietti grotteschi, inseriti per sdrammatizzare le situazioni più critiche. Nella sequenza iniziale appare anche una rana di plastica verde, con cui Mette gioca nella vasca da bagno: un altro riferimento ad un approccio ludico alla vita, che anticipa il successivo sviluppo della storia, accennando ad un atteggiamento saggiamente infantile, di cui la ragazza, malgrado i tratti vistosamente adulti delle sue attività, è ancora pienamente capace. La sua conversione ha il carattere di una favola, forse perché avviene in una serra piena di fiori, alcuni dei quali sembrano appartenere ad un’altra dimensione: ce n’è uno che aspetta dieci anni prima di sbocciare, e poi si schiude per la durata di una sola notte, uccidendo, subito dopo, la pianta da cui è nato. Un delicato incanto femminile circonda quel luogo, che pure è abitato da un uomo, dedito alla musica, alla letteratura, alla filosofia di chi sa assaporare il romantico gusto dell’attesa, anche quando questa è rivolta alla morte. Il tempo può anche non esistere, o, comunque, può trasformarsi in qualcosa di diverso da quell’ossessione che ci martella la mente, come il suono ripetitivo dell’orologio a cucù, o il ritmo prescritto dalle tabelle di marcia che scandiscono le ore di lavoro, le fasi di un progetto, l’evoluzione di una malattia. In questo modo, anche essere giovane o vecchio cessa di essere un dramma, o la definizione di un ruolo, per diventare una fugace e trascurabile condizione del corpo. Così il passato può ritornare, il futuro ricomparire, un uccellino morto riprendere a volare, e i discorsi interrotti continuare a distanza di anni. A volte si tratta di una mera illusione, ma è quanto basta per creare l’effetto salvifico della magia: magia è, infatti, l’impossibile a cui si crede, non importa se per sempre o per un solo istante. Nasty Old People è fatto di un realismo crudo, eppure incline alla rarefazione della poesia; e di una durezza che, pur rifiutando ogni buonismo ed ogni compromesso, lascia la porta aperta sia al riso, sia al pianto.
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