Regia di Merzak Allouache vedi scheda film
In questo film, l’Algeria del 1977 appare goffamente sospesa tra passato e futuro: una nazione che, ancora indecisa tra l’attaccamento alla tradizione e la spinta verso la modernità, si butta a capofitto in una non meglio definita dimensione popolare, fatta di musica, cinema, spettacoli, calcio e, soprattutto di caos, pressapochismo e cialtroneria. In mezzo a questo informe fermento, la figura di Omar impersona l’intramontabile ritratto della gioventù, con le passioni e le inquietudini, la fantasia e le incertezze tipiche dell’inizio dell’età adulta, quel momento critico in cui la vita sta già cominciando, eppure fa ancora tanta paura. Lo stesso confuso timore caratterizza, per una nazione, il passaggio dall’infanzia del colonialismo alla maturità dell’autodeterminazione. A oltre un decennio dalla proclamazione dell’indipendenza, i frutti della rivoluzione appaiono ancora acerbi: la conquista della libertà si è risolta in un generale rompete le righe, che non è stato, però, accompagnato dalla necessaria riforma della società. I mondi degli uomini e delle donne rimangono rigorosamente separati, tra le pareti domestiche come nei luoghi pubblici, e nemmeno il sovraffollamento delle case, delle strade, dei mezzi di trasporto riesce ad abbattere quell’atavica barriera culturale. Tutto appare mescolato, eppure rimane diviso, non solo tra i sessi, ma anche tra le generazioni che, anche e soprattutto a seguito dei rivolgimenti storici, non hanno più nulla da dirsi. Questo stare insieme per forza è l’anima grottesca del realismo spinto alle estreme conseguenze, in cui la promiscuità impedisce il formarsi di ogni armonia estetica. Nella buffonesca ironia di questo ritratto di costume, c’è molto dello spirito della commedia mediterranea, con la coralità pittoresca e convulsa, e con quella fannulloneria istrionica che, da sola, basta a riempire il vuoto determinato dal disagio e dal disorientamento. Come in Poveri ma belli, a creare gli eroi è solo la millanteria, i presunti bulli sono, in realtà, nient’altro che timidi romanticoni: il trentenne Omar, soprannominato Gatlato in omaggio alla sua virilità, è, a ben vedere, poco più che un adolescente, che ama i divertimenti e ha poca voglia di impegnarsi, e non si separa mai dal suo mangiacassette, col quale ama registrare la colonna sonora dei film indiani che vede al cinema. Nella vita è un funzionario ministeriale, ma nel cuore è rimasto un ragazzino indifeso, incapace di farsi valere e prendere iniziative. La sua storia ha il tono delicatamente satirico di un’epopea mancata, di una grandezza che è bello sognare, ma che, nella vita vera, è solo un pensiero chimerico, col quale concedersi, tutt’al più, qualche attimo di alienazione.
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