Regia di Merzak Allouache vedi scheda film
L’Algeria trapiantata in Francia fa propri i sogni europei, ma non rinuncia alle proprie tradizioni. La storia di Alilo e Mok, due cugini di Algeri che si rincontrano a Parigi dopo molti anni, parla di miti occidentali che si innestano, per lo più come chimere, sul desiderio di fuggire dalla miseria e dalla mancanza di libertà. Al paniere delle meraviglie appartengono la moda, la musica rap, ma anche fantasie un po’ ingenue come quelle legate alle fiabe di Jean De La Fontaine o ai leggendari locali a luci rosse di Pigalle. Alilo è arrivato nella capitale francese per ritirare una valigia contenente modelli di haute couture, mentre Mok, che abita lì da anni, insegue da tempo il miraggio di una carriera da cantautore componendo brani ispirati a La cicala e la formica o Il lupo e l’agnello. Per entrambi, la “madre” Francia è il teatro di un gioco tanto serio quanto promettente, che si identifica con la ricchezza, il successo, l’emancipazione da una vita piena di incertezze. Per quelli che, come loro, nel percorso della realizzazione personale si trovano ancora a metà strada, l’idea della fortuna si innesta in maniera curiosa su un’identità ancora fortemente legata al mondo arabo, affetta da un malcelato complesso di inferiorità, e prigioniera di un pittoresco gusto per la clandestinità che mette in imbarazzo Alilo, e caccia Mok nei guai. Gli altri, quelli che si sentono ben inseriti e arrivati professionalmente, vivono invece la loro condizione con naturalezza (come la sorella di Mok, che fa la tassista), ma spesso soffrono di nostalgia per la terra che hanno dovuto abbandonare. L’integrazione è un processo lento e travagliato, complicato sia sul piano pratico che su quello emotivo: Mok cerca in tutti i modi di mascherare le proprie radici, frequentando una donna francese, ed adottando il modo di parlare e di vestire tipico della gioventù del posto, ma, in questo disperato tentativo di apparire diverso, è costretto a vivere di espedienti e commette un errore dietro l’altro. Ben più realista è Alilo, che nel quartiere degradato in cui abita il cugino, non vede, come vorrebbe quest’ultimo, un ritrovo di artisti e di intellettuali, bensì una squallida appendice della stessa dilagante povertà da cui è circondato in patria. Mok è un avventuriero un po’ donchisciottesco, un aspirante self-made man che non hai mezzi per esserlo, e, in preda alla sua puerile smania d’indipendenza, ha inutilmente troncato i rapporti con la famiglia d’origine. Alilo, invece, per quanto disorientato e a sua volta attratto dal fascino di quella città così piena di colori, di fermenti e di opportunità, mantiene un atteggiamento più prudente, che, tuttavia, non basta a salvaguardarlo dalle fregature. Quella nazione, tanto vagheggiata da lontano, non è in grado di accoglierlo, almeno non nel modo che si aspetta, visto che tutte le cose materiali che sembrerebbe volergli offrire finiscono per tramutarsi in trappole. Per lui e per Mok l’eldorado si rivelerà un’illusione, perché non è nell’oro di un luogo straniero e sconosciuto che si può sperare di trovare la pace e la felicità. Salut Cousin! è una commedia che, nella società multiculturale, vede una sede di equivoci e di disavventure, e che non ne nasconde le tensioni; però, nello stesso tempo, le riveste di quel profondo senso dell’umanità che, in definitiva, trasforma tutto in una lezione di vita, assolvendo i peccati e tirando fuori, da ogni situazione e da ogni persona, sempre e solo il lato migliore.
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