Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
E' difficile spesso moderare gli entusiami dopo aver visto un film che è riuscito a far breccia nella nostra sensibilità di spettatori. Spesso e volentieri questa esultanza implica l'uso del termine "capolavoro" in maniera un pò troppo disinvolta, dato che magari lo stesso titolo, visto a qualche anno di distanza, mostra i segni del tempo trascorso e rivela limiti non rilevati al momento della prima visione.
Per questo è atteggiamento responsabile, e dunque preferibile, aspettare qualche anno e accantonare almeno temporaneamente il giubilo.
All'opposto ci sono film che invece riescono a mostrare tutta la loro qualità proprio in barba allo scorrere della clessidra. E questo Nodo Alla Gola sembra davvero, a parere dell'estensore di queste righe, un esempio assolutamente incontestabile.
Girato nel 1948 sotto la direzione di uno degli assoluti Maestri della settima arte, Alfred Hitchcock, questa pellicola non solo non ha perso un grammo del suo straordinario valore ma se possibile ha acquisito ulteriore pregio.
Il regista londinese oltrepassa il mezzo cinematografico per mettere in scena una pièce teatrale, contenendo l'azione (anzi la non-azione) in un unico luogo e sorreggendo tutta la narrazione sulla complessità dei dialoghi tra gli intepreti.
Un'operazione che, evidentemente, non poteva giungere a positiva conclusione se non fosse stata sorretta da un adeguato gruppo di attori di indiscutibile qualità, come è assolutamente il caso di questo film.
La vicenda si impernia su un delitto (peraltro mai mostrato, ma solo accennato nelle sequenze inziali) compiuto esclusivamente per l'assurdo scopo di realizzare il "crimine perfetto", un'uccisione fine a se stessa e come tale non risolvibile per la giustizia. Autore dell'esecrabile gesto è Brandon (John Dall) giovane colto, benestante e arrogante, che divide l'appartamento col fragile Philip (Farley Granger), complice suo malgrado in questa esibizione di cinismo criminale.
E qui entrano in gioco i due temi scottanti affrontati dal regista in questa opera: da una parte la visione di stampo nietzschiano che prevede lo smantellamento della morale comune, vista come un elemento che può appartenere solo ad una umanità ordinaria, a vantaggio di esseri superiori che dell'etica della "gente comune" possono infischiarsene. Un tesi propugnata da Brandon di fronte al proprio professore, Rupert Cadell (James Stewart), che di questa "dimostrazione" dovrebbe essere, secondo la folle logica del giovane, il principale osservatore nonché estimatore.
Dall'altra l'omosessualità dei due conviventi, mai dichiarata (siamo negli anni quaranta, che diamine!) eppure coraggiosamente esplicitata in numerosi richiami: che Brandon e Philip formino una coppia è decisamente evidente, almeno agli occhi di uno spettatore attento, così come altrettanto lampante appare il ruolo di "dominatore" psicologico del primo nei confronti del secondo, che viene invece tratteggiato come l'elemento delicato e quindi "femminile" della coppia.
Il folle senso di superiorità di Brandon e la convinzione di farla franca lo conducono all'eccesso di organizzare un ricevimento serale imbandito sulla cassapanca nella quale ha nascosto il cadavere della vittima e utilizzata per l'occasione come tavola, nonché di invitare allo stesso la fidanzata, il padre ed il miglior amico (nonché ex della fidanzata) del defunto.
La storia procede sul filo di una tensione sottile eppure magistralmente orchestrata da un Maestro quale è il nostro Afred, una tensione retta esclusivamente sull'interazione orale dei vari personaggi e su una pressoché totale assenza di azione.
Il Professor Cadell comprende di trovarsi in una situazione paradossale, con la figura di David (la vittima dell'omicidio) che aleggia su tutta la cena (e sulla scena) come un convintato di pietra, l'esuberanza dialettica di Brandon e il comportamento ai limiti dell'isterismo di Philip. Tutti elementi che lo portano a ricostruire con chiarezza il quadro preciso e a stanare i colpevoli.
Al di là dello straordinario valore "sperimentale" che si può (e si deve) riconoscere a una pellicola così ben costruita, dimostrazione delle indiscutibili qualità di uno dei massimi registi che hanno finora onorato la Storia del Cinema, va contestualizzata a mio avviso una importante chiave di lettura, e cioé lo smantellamento e financo la "ridicolizzazione" di una ideologia, quella della presunta superiorità morale di pochi eletti a discapito del resto dell'umanità, che aveva portato pochi anni prima alla creazione del delirio nazista.
Assolutamente rilevante sotto questo profilo il discorso finale che il Professor Cadell fa ai due sciagurati, soprattutto a Brandon.
Esiste però un'ulteriore chiave di lettura, più sottile ma non meno importante: il pericolo che teorie dettate dalla speculazione intellettuale possano aver presa su menti deboli o, peggio ancora, malate. Da questo punto di vista viene insinuata una certa responsabilità del Professor Cadell sull'agire dei due assassini, elemento che getta dunque un'ombra su quella che dovrebbe essere la figura positiva della storia.
Hitchcock si è dimostrato un maestro anche in questo.
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