Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Sir Alfred è uno dei tre o quattro registi al mondo che può vantare nel proprio curriculum una manciata di capolavori. Nella sua filmografia ci sono anche quelle pietre preziose che vengono custodite negli scrigni, quasi nascosti, per non essere corrotte dal resto del mondo. Tra quelle pietre preziose c’è, senza ombra di dubbio, Rope, distribuito da noi sia con l’esplicito Nodo alla gola e sia con il terribilmente sarcastico Cocktail per un cadavere. Per me è un piccolo capolavoro deliziosamente celato dalla malinconica inquietudine de La donna che visse due volte e dalla paura sinistra de Gli uccelli. Perché? Perché è semplicemente perfetto.
Basato sulla tecnica del “ten minutes take” (sequenze da dieci minuti, circa una bobina), è uno di quei pochi film in cui si percepisce la continuità fluida dell’azione, il carrello lento e irrequieto che si muove negli interni, la luce del giorno che si abbassa, fioca, fino all’imbrunire, come un’eclissi delle coscienze. Psicanalisi pura, cinema della chiacchiera adorabilmente intellettuale nella sua linearità sconcertante, è una danza macabra attorno ad una cassa da morto per marionette tristi (tanto per citare il titolo della marcetta della serie Alfred Hitchcok presenta) falsamente improvvisata perché pianificata con una tremenda matematizzazione dell’esistenza, un logicismo fanatico che sostituisce la razionalità del modus vivendi, tra il superomismo e la ragion pura.
Film dalla dimensione teatrale quasi claustrofobica, all’apparenza semplice e puro (gli stacchi si percepiscono trasversalmente – fondati sulle colorazioni cromatiche di abiti o pareti – in nome della chiarezza, della successione degli eventi nel corso degli “autentici” ottanta minuti), in realtà profondamente inquietante, a prova di ansia (una scena per tutte: la domestica tutta intenta a sgombrare la cassa per aprirla), non consigliato ai cardiopatici per come riesce a calibrare paura e perversione, sospetto e complicità. Magistrale James Stewart, invecchiato di qualche anno, a metà tra Poirot e un personaggio di Dostoevskij o Shakespeare, sornione e perplesso, con epilogo di classe che gli fa onore (o no?). Da segnalare anche Farley Granger, malato perverso di perfezionismo in funzione della celebrazione della logicità in ogni situazione umana.
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