Regia di Fred Schepisi vedi scheda film
Fred Schepisi, regista “di mestiere” sempre meno prolifico, abilita ancora una volta il grande pubblico alla visione prolungata del disfacimento, con attori e personaggi votati all’illustrazione di una rovina tutta personale e familiare. Il familiare di Schepisi, per la sua attenzione ai dettagli intimi, riesce ad essere però universale, ad acquistare quella valenza narrativa ed emotiva importante per un’opera cinematografica, Le sue facce sono quelle degli attori più intensi e iconici di un omnicomprensivo mondo anglofono, Judy Davies, Geoffrey Rush reduce da Il discorso del re e la Rampling, in un ruolo molto simile a quelli riproposti negli ultimi anni: anziana che si lascia ancor più invecchiare dal trucco, che si lascia sempre più andare nel suo inacidire, nelle sapienti risate a mezza bocca e negli efficaci deliri senili. La storia è tra le più antiche: figli di mezza età insoddisfatti, gesti smozzicati a testimonianza di un affetto impuro, forse sospettosamente assente. Le epopee dei ricchi che si consumano, stancamente, nella sontuosa villa australiana seguendo i dettami anglosassoni, con un nugolo di ilare e partecipe servitù al seguito. I personaggi rievocano troppe storie di incomunicabilità familiare: una madre segretamente libertina e fintamente austera, una figlia impacciata che si rifugia nei vezzi ereditati da un matrimonio fallito, un figlio satiro ed evanescente votatosi all’arte per abitudine. Nell’ombra, si agita un pensiero del passato, idilliacamente trasposto in un’isola in cui la matriarca Elizabeth, con il suo abito virginale – di cui, non a caso, si appropria la premurosa e scarsamente calcolatrice infermiera – si aggira in compagnia di un uomo più giovane sotto gli occhi della figlia, ancora ragazza. L’atmosfera chiusa e barocca della grande villa si contrappone al luogo dei ricordi, sempre più vivido con l’approssimarsi delle crisi, fino all’esplosione che coincide con lo scoppio di una tempesta e con l’abbandono della donna sull’isola, fotografata con una forte attenzione alla luce e al suo disporsi sull'unica sagoma umana presente. L’eredità e la morte sigillano come inevitabile conclusione la storia, con l’illusione di un lieve tepore infantile e familistico ritrovato, o almeno ricercato, che aiuti i due figli a riconciliarsi con le proprie identità barcollanti. Schepisi dirige un film classico e dai presupposti banali, ma lo fa mantenendo l’attaccamento ai propri personaggi, alle loro espressioni più sincere nonostante il mascheramento sociale imposto. Più macchiettistici i caratteri di contorno, come l’avvocato innamorato e la domestica anziana scampata ai campi di concentramento. In concorso al VI Festival del Cinema di Roma
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