Regia di Larry Clark vedi scheda film
Capelli perfetti, pulitissimi e in ordine; t-shirt alla moda, stirate e completamente integre; una parlata magari irriverente, ma certo non ‘da ghetto’, priva di eccessive volgarità: a chi mai potrebbero fare paura questi sette ‘messicanini’ (così chiamati per tutto il film, nonostante alcuni di loro abbiano origini in Guatemala, altri in El Salvador)? Passo falso per Larry Clark con questo Wassup rockers, quantomeno sul piano della verosimiglianza, che però per il suo cinema è semplicemente tutto: perché al regista di Kids, Ken Park e Bully preme da sempre raccontare un’America lontana dai riflettori eppure ben più reale di quella televisiva, esportata in tutto il mondo, terra delle grandi opportunità e del perfetto melting pot, la fratellanza fra differenti etnie. Scritto dal regista stesso (per il soggetto aiutato da Matthew Frost), Wassup rockers vorrebbe raccontare il disagio di un gruppetto di adolescenti ispanoamericani alle prese con uno ‘sconfinamento’ di zona nella vicina Beverly Hills: i bianchi (ricconi intolleranti e frivoli) non ci faranno una bella figura, ma neppure ne escono bene i sette piccoli protagonisti, che si macchiano di un omicidio con la stessa noncuranza con cui sbattono la faccia al suolo durante un’esercitazione in skate, per rialzarsi immediatamente e riprendere daccapo a saltare. Così come i neri, ritratti sbrigativamente al margine della storia con una pistola sempre carica in mano, non sembrano altrettanto raccomandabili. Il punto della questione quindi dovrebbe essere: perché siamo arrivati a questo? Le famiglie, i genitori, le istituzioni, gli insegnanti: in Wassup rockers non c’è nulla di tutto questo, lo squallore (che pure, come si è detto, viene messo in scena in maniera decisamente improbabile) è una tautologia, esiste poiché esiste, e non basta una manciata di minuti di scarno dialogo (il piccolo ispanico a confronto con la piccola bianca, guarda caso in camera da letto: è il sesso facile che guida gli Usa, morale di fondo di questo lavoro) a delineare un quadro complesso e perciò sicuramente meritevole di maggiore attenzione. Meno incisivo del solito, Clark sa però dedicarsi a un cinema fresco, polemico, tagliente quando serve (e quando gli riesce, in questo caso non sempre), come sempre orientato verso l’adolescenza, problematica quanto quella di un Antoine Doinel dei tempi nostri. 5/10.
Una giornata di scorribande per sette piccoli skaters ispanoamericani che 'sconfinano' nella bianca, ricca e intollerante Beverly Hills.
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