Regia di Andrew van den Houten vedi scheda film
Non ostante il lineare accumulo di una serie di vicende non perfettamente articolate tra loro, il film cerca di tradurre la follia minimalista di uno scontro di civiltà, per disvelare gli atavismi primigeni di quella specie animale sotto la cui maschera di buone abitudini si conserva ancora il cuore pulsante di una natura selvaggia e sanguinaria.
La tranquilla vita di provincia di piccola cittadina costiera del Maine viene sconvolta dagli attacchi notturni dei membri di una famiglia di nomadi antropofagi che si è stabilita in una vicina caverna. L'ufficio dello sceriffo decide di ricorrere quindi alla consulenza di un ex agente esperto del caso. Strage finale.
Adattamento del secondo capitolo della Dead River Series dell'autore americano Jack Ketchum, questo horror low-budget affila l'arma a doppio taglio di un immaginario antropologico in cui leggenda e realtà si danno appuntamento nello sperduto avamposto di una cittadina di confine la cui parvenza di civiltà e le cui pacifiche abitudini domestiche vengono sconvolte dalla barbarie e dal retaggio di un istinto predatorio che da sempre albergano nei profondi recessi della natura umana.
Pur negli evidenti limiti di uno script che sembra operare attraverso il lineare accumulo di una serie di vicende non perfettamente articolate tra loro (sarà colpa del montaggio ma l'autore ci mette del suo) ed il ricorso al solito espediente dell'eroe di turno con la faccia alla James Brolin dei tempi belli, il film cerca di tradurre l'antefatto narrato dai dagherrotipi esemplificativi dell'incipit nella follia minimalista di uno scontro di civiltà che sà tanto di macchina del tempo (quanto l'enfant sauvage non è così prodige come ce lo si aspettava), precipitandoci nell'incubo ad occhi aperti di una lotta per la sopravvivenza emendata da tutte le tare ed i pregiudizi della morale, per disvelare infine gli atavismi primigeni di quella specie animale sotto la cui maschera di buone abitudini si conserva ancora il cuore pulsante di una natura selvaggia e sanguinaria. In fondo mangiare, riprodursi e allevare la prole non sembrano funzioni molto diverse da quelle che si compiono nella comoda tranquillità di una residenza stanziale piuttosto che nell'antro primitivo e fortunoso di una popolazione nomade, con la sola differenza che in quest'ultimo caso il frigo non è sempre pieno e per evitare l'elevato tasso di omozigosità ci si deve accoppiare con partner occasionali non proprio consenzienti. Strutturato come il rendez-vous di una caccia al cannibale che si trasforma ben presto nell'assedio di un buon selvaggio che punta alla culla ed al pound of flesh, il film di Van den Houten riscatta la banalità della messa in scena e le ingenuità della narrazione attraverso le interessanti locations (Pictured Rocks National Lakeshore), l'uso di una insinuante colonna sonora (che ricorda il Ray Cooder dei film di Hill come pure l'idioma francofono dei cavernicoli richiama quello dei cajun di Southern Comfort) e l'essenzialità di dialoghi che si guardano bene dal dirci chi sta nel giusto e chi nell'errore, eccezzion fatta per la viscida doppiezza di un ex marito violento che non può che fare la fine che meritava. Lei fugge bella e zozzona (cit. mck) e finirà per combinare altri guai; ma quella è tutta un'altra storia. Per chi vuole approfondire il soggetto aveva ispirato anche il quinto episodio della prima stagione di X-Files intitolato Il Diavolo del Jersey (1993). Vedere per...inorridire.
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