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Old Joy

Regia di Kelly Reichardt vedi scheda film

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La recensione su Old Joy

di leporello
8 stelle

    C’è un che di disarmante nel modo che ha Kelly Reichardt di proporre i suoi lavori, disarmante ed entusiasmante insieme: da una parte, coloro che ad un film, alla storia che racconta, al susseguirsi degli eventi chiede spassionatamente “qualcosa”, che accada “qualcosa”, che gli venga offerto un susseguirsi di “qualcosa”, davanti a film come questo “Old Joy” (come sarà poi anche due anni più tardi col bellissimo “Wendy & Lucy”) rischiano di rimanere spiazzati, paradossalmente confusi, spesso e volentieri tristemente annoiati. Dall’altra, coloro che hanno la capacità e la pazienza di accorgersi di come tutto ciò che si vuole far accadere (e sono personalmente convinto che non sia affatto poco) accada “dentro” i personaggi, nascostamente, preziosamente racchiuso in pochi, piccoli gesti ben inquadrati (un cenno del capo, un saluto fugace, una stretta di mano), trovano certamente in questa regista della Florida, agganciata a quel circuito definito come “indipendente” ed a firme che accompagnano i suoi lavori del calibro di Todd Haynes (solo per dirne una), una fonte preziosissima di sano intrattenimento.


    Sembra che non accada nulla di importante nella “scampagnata” tra i boschi di Kurt e Mark, due vecchi amici molto diversi tra loro, che rimpiangono la “Gioia che fu” di quando ancora circolavano i dischi in vinile e al posto delle yogurterie moderne c’erano le botteghe di commercio alternativo dei loro vecchi commilitoni, oggi spostatosi su E-Bay. Invece c’è il continuo interrogarsi dei due, la costante riflessione su ciò che sono e su come lo sono diventati, attraverso il continuo specchiarsi reciproco dentro una relazione che è sì quella di due amici sinceramente affezionati l’uno all’altro, ma che è anche altamente critica, mai indolente o autoreferenziata, sempre pronta ad incendiarsi non di astio, né di rancore (non potrebbero, essendo amici), ma di una pressante esigenza di capire se stessi anche e soprattutto attraverso l’altro. Che non è affatto comodo, né facile, perché i due, sinceramente amici, ricevono continuamente dall’altro il segnale che c’è “qualcosa che non va”, che la loro amicizia non ha ancora, dopo tanto tempo che si conoscono, tutti i requisiti per potersi definire completa, incondizionata. L’amicizia non è ancora tradotta in fiducia, e forse neppure in stima, è ciò richiede ai due uno sforzo eccezionale, che è poi il senso ultimo del film: in questo, altamente esplicativa, è la scena verso il finale in cui Kurt si avvicina a Mark per fargli un massaggio rilassante, e Mark cade in preda ad inspiegabili tensioni piene di tutta la contraddizione che pervade l’intera vicenda, e stenta (per poi riuscirvi) ad abbandonarsi tra le mani del suo amico. A questo climax, accompagnati dalla piccola cagnetta Lucy che, sempre col suo vero nome di Lucy sarà poi la co-protagonista del film successivo della Reichardt (nella realtà, Lucy, piccola diva,  è davvero la cagnetta della Reichardt), Mark e Kurt arrivano attraversando molti snodi fatti di involontari malintesi, di inconsapevoli battute che nascondono una potenziale mancanza di rispetto per l’altro della quale si accorgono sempre solo un istante dopo, quando rischia di essere ormai tardi, accompagnandosi sempre con la commovente volontà inespressa di volersi davvero bene e di accettarsi per quello che sono, in una diversità che è evidente sin da subito nel film, quando Mark è presentato come quello più stabilmente “posato” (una compagna, un lavoro, un figlio in arrivo, attività nel sociale) e Kurt quello più “Hippy”, sognatore, in cerca di una solidità che è il primo a non volere ma anche il primo a soffrirne per la mancanza.


    Due fantastici dialoghi, il primo nella notte all’addiaccio annaffiato di birra e tiro a segno contro i barattoli vuoti, quando Kurt tenta di esporre la sua teoria quantistica dell’universo, e quella in cui i due si prendono il loro bagno termale immersi in una natura in cui sembra quasi che sia vietato parlare, dove sempre Kurt (che, nella ripartizione dei ruoli,  è un po’ come la coppia di ruote trainante rispetto alla coppia di ruote passive, rappresentata da Mark), racconta del suo sogno con la donna indiana del negozio di PC, e dove il senso profondo di ciò che è “Old Joy” tenta di disvelarsi. In mezzo a tutto questo (anzi: in capo e in coda a tutto questo), il “talk-show” radiofonico su temi politici, in cui l’America, rispetto alla quale Kelly Reichardt si pone giustamente con spirito indipendente, parla sostanzialmente di un vuoto che solo un’onestà privata e personale di ciascuno di noi con se stesso e col prossimo può riuscire a colmare.

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