Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Un film di Fritz Lang che si credeva perduto. Proiettato per la prima volta a Berlino, il giorno di Natale del 1920, se ne erano perse le tracce, finché, negli anni ottanta, non ne è stata recuperata, a San Paolo del Brasile, una copia contenente circa due terzi della pellicola originale. Una versione integrata e restaurata è stata realizzata nel 1987. Soggetto e sceneggiatura sono ad opera dello stesso Fritz Lang e di Thea von Darbou, la scrittrice che diventerà la sua seconda moglie e che collaborerà con lui in molte delle sue successive produzioni, tra cui Destino, il Dottor Mabuse, Metropolis, M – Il mostro di Düsseldorf.
La storia unisce il dramma borghese (la donna contesa, i complotti ed i dilemmi morali), la tragedia romantica (la morte per finta, come in Romeo e Giulietta, il voto alla vergine, come ne I promessi sposi), l’avventura epica (l’esilio dell’Odissea, la sfida di uno contro tutti), la poesia bucolica (i pastori, i prati, le baite), il simbolismo espressionista (la mano della morte che suona la campana, preannunciando sventure) e la provocazione modernista (la teoria dell’amore libero): una ricchezza narrativa davvero sorprendente per una vicenda incentrata su una banale questione di eredità, che contrappone una vedova ai parenti del suo defunto marito. Un aspro paesaggio montano, pieno di pareti rocciose e crepacci, fa da sfondo ad un racconto movimentato dai frequenti salti temporali, dai continui cambi di scenario, e dalla teatrale raffigurazione dell’amore, dell’odio, del sospetto e della paura. Un vero romanzo per immagini, con uno spiccato gusto per la descrizione dell’ambiente, che appare ricco di suggestivi elementi naturalistici, e di pittoreschi scorci di vita urbana o rurale. Il sentimento dominante è quello classico, di ispirazione religiosa, che trova la sua massima espressione nel sacrificio, nella rinuncia, nella negazione di sé, e per il quale la catarsi assume le sembianze del miracolo. La figura femminile è protagonista in quanto creatura indifesa e venerabile, contesa tra i ruoli di moglie e di madre, icona di carità e coraggio, ma sempre modesta, fragile e fremente, mai appariscente come una diva, né esaltata come un’eroina; ella è, semplicemente, il personaggio centrale, che, forte della sua straordinaria sensibilità, segue ogni momento della narrazione col pensiero, con le emozioni, con le speranze ed i timori, e ne sottolinea il significato umano, a volte realisticamente doloroso, altre volte poeticamente magico. La sua anima interpreta il colore cangiante delle situazioni, conferendo, all’immagine vagabonda del titolo, quella profondità morale che trasforma il dinamismo puramente tecnico della cinematografia nella pulsazione della vita vissuta. Quest’opera è un piccolo manifesto della letteratura filmata, di cui enuncia i principi con la forza dell’esempio pratico e dell’incanto dell’arte: nasce così una pellicola in cui lo scorrere dei fotogrammi riproduce il respiro delle passioni, l’affanno delle ansie, il palpito dei sogni; e in tal modo tutto appare, nel contempo, assolutamente vero e sublimemente trasfigurato.
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