Regia di Sung-Yup Yoo vedi scheda film
Dispiace ripetere la solita tiritera ma è un vero peccato che la logica del mercato della distribuzione cinematografica impedisca a pellicole come questa di essere diffuse nel nostro paese (e non solo nel nostro). Forse sarebbe opportuno parlare a lungo di questo film, per favorirne per quanto possibile la visione, ma non mi sono mai trovato di fronte ad un'opera della quale sia doveroso tanto tacere, per non rovinare la fruizione a quei pochi temerari che oseranno affrontare i dialoghi in sud-coreano con l'ausilio di sottotitoli, quindi limitiamoci a ciò di cui si può parlare.
Si può parlare della prova a mio avviso straordinaria del cast, senza eccezioni, un'eccellenza che si può toccare anche nei ruoli minori. Ci si potrebbe dilungare oltre misura sull'infinita varietà di situazioni e stati d'animo interpretati dalle due donne che sono assolute protagoniste della pellicola, ma non esistono parole, per tanto alate esse siano, che possano dare un'idea dell'enorme impatto emotivo che queste riescono a trasmettere.
Estremamente interessante ho trovato, forse perché a me tanto aliena, la descrizione della vita rurale nella Corea del Sud, la cura nella ricostruzione degli ambienti della casa di campagna, dell'orto, del giardino, e di quei luoghi, come il piccolo tempio isolato lungo il sentiero, che durante la pellicola si impongono come catalizzatori di ricordi e significati.
La regia è curatissima e sfodera colpi di classe a ripetizione, un prezioso minimalismo della narrazione che sollecita attenzione ed educa al gusto della fruizione e della partecipazione, seminando inquadrature preziosissime come quella dei piedi della madre che esitano di fronte alla soglia, sapendo che una volta varcata niente più sarà come prima.
La critica che si può muovere alla pellicola è che il soggetto sia in qualche modo facile, non del tutto originale e si potrebbero anche avanzare dubbi sull'integrità dell'operazione e sulla sua onestà intellettuale, ma la questione rischia di diventare a questo punto di lana caprina, e la soluzione più logica sembra essere affidarsi al proprio intuito.
Raccomandando questo film a tutti ed in modo particolare agli amanti del cinema orientale, non posso fare a meno di dare però un'indicazione che possa essere veramente utile, per evitare conseguenze potenzialmente dannose: si astengano le persone molto emotive e coloro che non attraversano un momento della vita molto felice, la visione di questa pellicola potrebbe rivelarsi un'esperienza molto pesante.
Ji-sook è una donna sposata ed ha una bambina. Un giorno parte in treno da Seoul e va a trovare la madre che vive in un piccolo paesino nella campagna coreana. Durante il viaggio ripercorre la propria vita fin dall'infanzia, ripensa al fratellino ingordo, al padre autista di bus con un problema di deambulazione, che beveva e picchiava la madre, e soprattutto al suo rapporto con lei, una donna forte, ostinata che l'ha sempre amata visceralmente. Sarà una visita speciale.
Molto bella, molto occidentale, violini, oboe e flauti, alcune atmosfere mi ricordano le cose migliori di Pat Metheny, veramente una bella sorpresa.
Per carità!
La regia di Sung-Yup Yoo è ottima, misurata, calibrata, molto raffinata ed elegante, un vero sollucchero.
La giovane attrice interpreta la figlia dall'adolescenza alla maturità, è il personaggio più sfaccettato, con luci ed ombre, che cade e si rialza, e la prova risulta essere molto buona.
Interpreta la madre, donna testarda, cocciuta, non istruita, totalmente votata al bene della figlia, e lo fa in modo magistrale.
E' il padre di Ji-sook, un uomo che cerca di annegare la frustrazione causata dalla sua menomazione fisica nell'alcool, e per quanto poco sia lo spazio concessogli, questo non gli impedisce di tracciarne un ritratto ricco di sfumature.
Interpreta Joon-soo, ed anche in questo caso, nonostante la sua sia una parte marginale, questa risulta molto significativa nell'economia del film.
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