Regia di Lorenzo Garzella, Filippo Macelloni vedi scheda film
Un conte dalle improbabili origini e dalla altrettanto improbabile residenza (la Patagonia) che impegna tutto quello che ha per organizzare il campionato del mondo di calcio mentre il resto del pianeta è sconvolto da una guerra mondiale.
E poi un cineoperatore di origini italiane, talmente ingegnoso da farci pensare sia stato uno dei fondatori dell'ACME, principale fornitrice di marchingegni a Will il Coyote, un centravanti tedesco talmente miope da dover giocare con gli occhiali, che sotto lo sguardo truce (che è poi quello che hanno tutti i miopi quando si tolgono gli occhiali, non vedendo assolutamente un tubo di quello che li circonda.......lo scrivente recensore ne sa qualcosa personalmente) e la svastica nasconde un cuore innamorato e un portiere indio (difende la porta dei Mapuche......ma non è una nazione! Vabbè ma non state a sottilizzare per piacere......) talmente bravo che se esistesse oggi le squadre nostrane manderebbero i loro amministratori delegati in canoa direttamente in Patagonia a prelevarlo (altro che cenette Da Giannino o simili).
Tutti e tre accomunati dalla passione bruciante per una fotografa tedesca (ma di famiglia ebraica) tanto bella quanto disinibita nell'elargire le proprie grazie. A questo punto qualcuno si domanderà: ma cosa c'entra tutto questo con il calcio e il fantomatico mondiale del 1942? Tutto e niente!
Il mondiale di calcio del 1942 non è esistito, chiariamolo subito, esiste invece una frase di Osvaldo Soriano, contenuta nel suo (bellissimo, anche se col calcio di casa nostra non ci va molto tenero) libro Pensare con i piedi: "Il Mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia ma si giocò nella Patagonia argentina".
Da questo enunciato il duo Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni ha tratto l'idea per costruire un finto documentario sulla altrettanto finta competizione mondiale, mischiando passione per la palla a surrealismo e comicità.
E il risultato, se amate anche solo un poco il calcio, è irresistibile.
Come tutti i mockumentary che si rispettano la vicenda parte dal ritrovamento dei resti di un uomo assieme a una macchina da presa.
Ma qui finisce la similitudine con altre pellicole, niente storie di streghe o spedizioni in Amazzonia, qui tornano alla memoria i ricordi di una competizione semplicemente folle in cui 12 nazioni vengono rappresentate da operai, minatori, ingegneri e varia umanità in fuga dal paese di origine per stabilire chi subentrerà all'Italia nel possesso della Coppa Rimet.
Il tutto sotto lo sguardo vigile di un arbitro noto per la famiglia (è il figlio di Butch Cassidy) e per il suo passato di rapinatore, assai più che per la sua abilità al fischietto: William Brett Cassidy.
Costui arbitra con cappellaccio da cowboy in testa ma, soprattutto, con un revolver nel taschino, a sostituire (nella funzione) i cartellini di qualunque colore. Non si è mai visto un giocatore espulso abbandonare così celermente il campo.
Il problema è che il buon Cassidy non è solo un bandito nella vita ma anche sul rettangolo di gioco e ne combina di tutti i colori favorendo smaccatemente l'uno o l'altro dei contendenti a seconda della capacità che hanno di convincerlo prima della partita (e non certo con le minacce).
Per ricordare quelle antiche vicende vengono interpellati: un attaccante ultimo sopravvissuto della squadra dei Mapuche, soprannominato la Rana per l'abilità con cui saltava i difensori, (al quale gli sportivi avversari - ovvero i tedeschi - hanno spaccato le gambe prima della finale), un ex giocatore della Germania, talmente simpatico da farci pensare possa trattarsi di un pro-zio di Angela Merkel, e un anarchico italiano allora in esilio, terzino degli azzurri condannato a far coppia in difesa con un tizio talmente in sovrappeso da far temere tutto il pubblico pagante un coccolone (allo stesso, ovviamente).
Il dubbio che attanaglia i documentaristi sta nel fatto su chi possa aver vinto la finale tra gli strafavoriti (anche dall'arbitro) teutonici e i Mapuche del portiere paratutto. Dubbio dovuto al fatto che sul risultato di 1 - 1 sulla partita si abbatté un uragano, tutti fuggirono (tranne i contendenti) e i sopravvissuti per vari motivi non stavano in campo. Dunque il ritrovamento si rivelerà prezioso per lo svelamento del mistero.
Da quanto scritto sopra è facile capire che questo film è soprattutto un divertimento. Divertimento per chi lo ha realizzato e divertimento per lo spettatore.
Piace soprattutto la grande ironia con cui viene affrontato un mondo come quello del calcio troppo spesso afflitto dalle iper-valutazioni dei suoi appassionati.
Tante, troppe volte sentiamo gente disquisire di calcio come se si trattasse di politica o di economia, o peggio ancora di una guerra in corso, e non solo al bar sotto casa, ma anche e soprattutto in televisione. Finendo così per far dimenticare a molti che si tratta di un gioco, di indubbio fascino ovviamente, ma solo un gioco consistente in ventidue signori in mutande che corrono dietro un pallone.
I registi sono bravi a usare gli eventi (di pura invenzione) di quel lontano passato per mettere alla berlina certe "questioni spinose" che attanagliano i moderni commentatori, vedi ad esempio l'esilarante esempio di moviola in campo ante litteram che vede coinvolti gli sportivissimi inglesi.
E con l'ironia verrà svelato il segreto dell'esito della finale. Su cui ovviamente qui taciamo.
Per gli appassionati di football, dotati di una corretta dose di ironia, quattro stelle piene. Considerato che - naturalmente - non tutti condividono questa passione più corretta una mezza stella in meno.
Campeones del Mundo!!!!!!!
Inesistente! Però la fotografa è uno schianto.....
Sicuramente l'arbitro........
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