Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
PURO VUOTO BIANCO.
Così afferma la voice over della protagonista Kotoko proprio dopo il colpo di scena che trasfonde il film, inietta altro sangue nel suo tessuto organico e polisenso.
E' un film complesso, originale, lampante. Impossibile - prorpio perchè apparentemente (nel senso di cio che appare, ciò che si vede) troppo possibile - districarsi tra le visioni (o visioni di visioni?) che precipitano Kotoko nel proprio incubo bianco, decifrarle, colmarle di senso.
Con questo suo ultimo lavoro, Tsukamoto aggiunge una postilla (retrospettiva) a tutto il suo cinema. Ricordate Tetsuo? Film mutante di corpi mutogeni, in continua trasformazione, palingenesi cronenberghiana di carne, sangue e metallo. Beh, qui siamo già oltre Tetsuo. La mutazione è già completata, è già stata introiettata. La doppiezza che deborda nelle visioni di Kotoko è la stessa impossibilità di vedere per davvero, dei nostri eyes wide shut (occhi spalancati che sono comunque chiusi prima che si pervenga ad un'altra visione).
Non penso, in tutta franchezza, sia corretto (o pregnante o preciso) parlare di follia. Siamo più che altro nel territorio dell'assenza-del-senso a mutazione (silenziosa) avvenuta, nel territorio della percezione infinita e sempre cangiante. E Tsukamoto ci conduce nel territorio di un'immagine che è già oltre il post-moderno, ora per davvero astorica (ma mai atemporale). Un'immagine-fantasma (e la figura dello scrittore interpretato dallo steso regista è davvero la più perturbante dell'intero film, lui sì fantasma errante ancora - forse - impossibilitato a scomparire) che, come detto, conduce a quel "puro vuoto bianco" che è presenza/assenza di tutto. Il medesimo latteo pervenimento dell'incapito The Man from London di Béla Tarr.
N.B. L'unica questione in sospeso: ma la distribuzione italiana in tutto questo?
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