Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
Shinya Tsukamoto ritorna, ed è ancora ossessione. Questa volta l'incubo si chiama amore, che se unito alla solitudine si legge come paura di perdere. La giovane Kotoko ha un bambino piccolo, di nome Daijiro, che deve allevare senza l'aiuto di un padre. Sarà forse per colmare quella lacuna, per completare la coppia rimasta a metà, che la ragazza vede tutte le persone sdoppiate: due figure identiche, l'una amichevole, l'altra ostile, come se anche la ricerca dell'anima gemella nascondesse un potenziale pericolo. Infatti Kotoko ha terrore degli uomini. Non si lascia avvicinare da loro che per un singolo istante, respingendo i loro approcci con un violento colpo di forchetta nel dorso della mano. Non è in grado di cogliere, nella loro compagnia, quella felicità che riesce vivere solo per se stessa, con l'immaginazione, quando nessuno la vede e la sente: allora si mette a cantare e a ballare, in un magnifico show senza spettatori. La gioia, in lei, è una forma d'arte fantastica e di stampo infantile, fatta di carta variopinta, con cui crea, nella sua casa, un mondo da favola, appartato e segreto, protetto da tutte le minacce esterne. Kotoko ha uno strano modo di amare suo figlio; per le istituzioni il suo comportamento rasenta l'abuso, e per questo il piccolo le viene sottratto, ed affidato alla sorella. Da quel momento, per lei, il sogno è poterlo riabbracciare. Quando le viene concesso di andarlo a trovare, lo copre di coccole e di regali, e solo in quei momenti Kotoko sembra davvero una donna ed una mamma normale. La sua personalità privata, che continua a manifestarsi quotidianamente nel suo appartamento rimasto deserto, è invece un concentrato di paranoie, raccolte in un culto della vita che chiede, come tributo sacrificale, fiotti di sangue, fatti sgorgare dalle vene del braccio. In quel modo la vita grida di soddisfazione, e la sofferenza partecipa alla sua festa. Senza quel suono, che per un attimo squarcia il silenzio, dal fondo si udrebbe affiorare il palpito di una disperazione che avanza con i passi danzanti della follia. Il panico è ritrovarsi circondati da un vuoto popolato di forze invincibili, che possono, da un momento all'altro, distruggere ogni poesia, ogni grazia, ogni espressione della fragilità del sentimento umano. Uno scoppio può interrompere un'illusione di bellezza, e stroncare un'esistenza. Ogni possibilità, anche la più terribile, può, d'un tratto, diventare reale, perché è tanto sottile il confine tra l'ipotesi del pensiero e la percezione dei sensi. Quell'ambiguità è risolta unicamente dalla concretezza del dolore, soprattutto quello fisico, che, sul corpo, si tinge di colori vivaci e ne esalta le forme, rendendo la carne più che mai sensibile al tatto. L'unione passionale tra Kotoko e lo scrittore Seitaro Tanaka non potrà fare a meno di quel fremito condiviso, che urla e trema per avere la certezza di esistere e di provare emozioni. Passare le dita sul viso dell'altro ed accorgersi che quel tocco fa tanto male è un momento di comunicazione intima, uno scambio a fior di pelle in cui alla curiosità dell'uno risponde il brivido dell'altro. Il rapporto non può essere profondo se non provoca ferite, se non sospende la libertà con un minuto di sgomento, in cui si pensa di essere nessuno in mezzo all'universo, e diventare tutto nelle mani dell'altro. E così che orrore e dramma sbocciano in una bizzarra ed ermetica euforia: un fiore che si schiude come per miracolo, e che, però, altrettanto magicamente si può ripiegare su se stesso. Prima di incontrare il suo lui, Kotoko coltiva quella vertigine in maniera autoreferenziale, come un uccello in gabbia che si dibatte tra le sbarre intonando una sinfonia di abbandono alla tragicità del destino, di sottomissione al mistero del cosmo. La melodia, da un giorno all'altro, può trasformarsi in un regalo, destinato a chi, finalmente, è lì presente ad ascoltare. Ma la tonalità non cambia. Le onde sonore si perdono, comunque, in lontananza, e ciò che rimane, al di qua dell'orizzonte, è soltanto l'ombra celeste di un attimo di prossimità ormai svanito, ma per sempre scolpito nel cuore.
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