Regia di Yesim Ustaoglu vedi scheda film
Forse la vecchia Nusret, che ricorda perfettamente il passato ma non sa vivere nel presente, è la Turchia. È lei, la nonnina smemorata che si è persa nei boschi ed è stata portata a forza dai figli in città, l’incarnazione di un popolo che ha conosciuto l’urbanizzazione, però ha perso il treno della modernità. Ed è sempre lei quel tenero anacronismo che mal si adatta alla civiltà contemporanea, restando ancorato ad un’epoca in cui tutto era più selvaggio, ma anche tanto più semplice. La donna non riconosce i figli e il nipote, a simboleggiare la disgregazione della famiglia, un problema da cui è affetta tutta la sua discendenza: la figlia Nesrin è in disaccordo con i fratelli, in crisi col marito, e in grave conflitto col figlio Murat, un ragazzo ribelle e indisciplinato. La mente e la vita di Nusret sono vuote, prive di appigli con la realtà, come deve sentirsi l’anima circondata dai grigi desolati spazi metropolitani, negli antichi quartieri popolari come negli enormi casermoni di periferia. Mancano i punti di riferimento ed ognuno è abbandonato a se stesso, come la giovane Güzin che non riesce a trovare l’amore, e suo fratello Mehmet che vive alla giornata, senza un lavoro, in una stamberga in cui si dedica all’alcol e alla droga. Il fumo della sua stanza prosegue nella nebbia che avvolge lo stretto del Bosforo, cancellando la vista delle imbarcazioni che collegano le due sponde di una megalopoli divisa tra l’Europa e l’Asia. Le persone restano diverse e distanti, in un mondo di origine antica e dalle forti tradizioni, che tanto faticosamente ha imboccato un nuovo corso (vedi la difficoltà con cui Nusret dice di aver partorito Nesrin). Guardando verso il mare si scorge solo una riva affacciata sul nulla: e così si resta fermi nella sensazione di trovarsi sul bordo di un universo tagliato a metà, che ha perso il contatto con le sue radici. Il vaso di Pandora viene scoperchiato nel drammatico momento in cui ci si rende conto che, prima del caos, dell’incomprensione, del disordine, si era effettivamente qualcuno, ma quella identità è destinata a rimanere misteriosa, perché non è in grado di parlarci nel linguaggio di oggi. Questo film fatto di andate, di ritorni, di vagabondaggi e deviazioni, descrive un’umanità errante, che non capisce chi sia, né da dove venga. E per questo motivo non vede, davanti a sé, che un’unica, consolatoria soluzione: rimediare all’incomunicabilità dedicandosi ad un amore silente e servitore. Per il resto, non può che arrendersi, disperatamente, all’ignoto che incombe all’orizzonte.
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