Regia di Renato Polselli vedi scheda film
Maldestro tentativo autoctono sul tema dei vampiri e vero e proprio cinema di riporto questa risibile opera che Renato Polselli girò nel 1960.
La responsabilità primaria va certamente cercata nell'ovvietà della storia che ricalca malamente schemi narrativi già in quegli anni ampiamente usurati: c'è una ricca e sinistra villa di campagna di un paese nei cui pressi sorge un castello diroccato da tutti creduto (inopinatamente) disabitato dove un corpo di ballo sta provandO un nuovo spettacolo; c'è anche una giovane contadina trovata morta in circostanze molto misteriose; ci sono pure antiche leggende che parlano dell'esistenza dei vampiri nella zona e le ballerine che scoprono che dentro il castello ci abitano invece la contessa Alda e il suo maggiordomo Hermann di cui nessuno conosceva l'esistenza (e di conseguenza nemmeno la loro reale identità). Di tutto e di più insomma ricopiato da ciò che già era stato rappresentato al riguardo senza particolari tocchi di novità nemmeno nella rozza qualità della messa in scena costruita su una sceneggiatura davvero bruttoa zeppa di battute che involontariamente incitano all'ilarità (maldestramente inserite in un contesto molto serioso che dovrebbe . ma ci riesce poco e male - indurre alla paura).
Davvero un'occasione sprecata perche in altre mani sicuramente il soggetto avrebe avuto un elemento di novità da valorizzare che poteva rendere il tutto molto più suggestivo: quello del rovesciamento dei ruoli (il vampiro maschio succube della sua compagna e l'originale e affascinante particolarità dei rapporti esistenti fra i due vampiri
Ma con battute ineffabili come queste : "il professore dice che questa è l'ora dei vampiri" o "Toh, un funerale! Porta sfortuna!" c'è davvero poco da stare allegri. La ciliegina sulla torta, o se vogliamo, il vertice dell'assurdo e del ridicolo si raggiunge qperò quando sentendo l'urlo di Francesca, una delle ballerine che rischia di diventare preda del vampiro, il protagonista prima di accorrere in suo aiuto, si sente in dovere di pronunciare una più che banale - e pleonastica - constatazione come questa: "Mi sembra di riconoscere la voce di Francesca".
Pollice verso insomma a tutto campo.
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