Regia di Robert Aldrich vedi scheda film
Western americano legato ai classici stilemi del genere, col suo lento incedere e la poco spettacolare regia. Robert Aldrich, mitico regista di capolavori quali Quella Sporca Dozzina e Che Fine ha fatto Baby Jane?, lo gira negli anni in cui lo spaghetti western, in Europa, ha sparato i suoi migliori colpi e mentre negli Stati Uniti imperversa la c.d. New Hollywood, col suo carico di nuovi propositi. Film come Soldato Blu o Un Uomo Chiamato Cavallo riscrivono la figura degli indiani e la riconducono in un alveo più vicino a quello reale. Non sono gli indiani i macellai, ma i colonizzatori provenienti dal vecchio continente ad aver infranto le regole del quieto vivere in nome della legge del più forte. E' epoca di revisionismo western. Nuovi registi e sceneggiatori rampanti riplasmano il genere e offrono nuove prospettive. Robert Aldrich e il suo sceneggiatore Alan Sharp sono in controtendenza, pur non essendo immuni dal periodo. Il loro Nessuna Pietà per Ulzana torna a riproporre la figura sanguinaria degli indiani. Il film è violentissimo e mostra la faccia bestiale dei pellerossa. Cavalli squarciati nel petto, altri abbattuti per utilizzarli quali scudi, cani uccisi gratuitamente con frecce scagliate dalla distanza, suicidi in primo piano (un nordista si fa saltare la testa pur di non farsi imprigionare dagli apache), donne violentate, altre uccise a sangue freddo con un proiettile piazzato in mezzo alla fronte nonché uomini lasciati penzoloni in modo scomposto sulle staccionate. Questo il sanguinoso seguito che si lasciano alle spalle Ulzana e la sua banda di indiani fuoriusciti dalla riserva. E' una violenza che deriva dalla segregazione anche se si cerca di connaturarla sotto un profilo antropologico. Ulzana, da condottiero apache, uccide perché vuole acquisire il potere degli uomini assassinati, cercando di riprendere quel ruolo che i "civili" americano gli hanno rubato in nome di un'ipocrita pace. Sulle sue tracce si muovono un plotone condotto da un tenente, figlio di un sacerdote, e da una vecchia guida supportati da un pellerossa fedele alla causa federale (sarà quest'ultimo a porre fine alle razzie di Ulzana). Va così in scena un'ideale partita a scacchi che assume la consistenza di un lungo inseguimento in territori impervi, tra deserti e canyon in cui tendere trappole e dove si ribaltano i ruoli: chi era inseguito diventa l'inseguitore e viceversa.
Aldrich gira con mano stanca, poco innovativa e per nulla influenzata dai western europei, se si escludono le ripetitive e continuative cadute spettacolari dei cavalli. Il punto forte del film sta nella caratterizzazione del personaggio affidato al giovane Bruce Davison. Tenente alle prime armi e dagli ideali religiosi, si troverà catapultato in un vero e proprio viaggio di formazione. Combattuto nei sentimenti, prossimo a lasciarsi corrompere dalla spirale di violenza che finisce per trasformare in bestie i suoi uomini, riesce tuttavia a vincere la scorciatoia offerta dal desiderio di vendetta per riconquistare quella civiltà che sarebbe lecito attendere da chi veste una divisa. Così lo troveremo a rimproverare i suoi uomini, propensi a dilaniare i corpi degli indiani abbattuti, e a imporre il rispetto per le vite che si spengono. Lo aiuterà in questa evoluzione l'esperta guida offerta all'interpretazione di Burt Lancaster. Finale all'insegna delle sparatorie col tradizionale arrivo decisivo della cavalleria, con tanto di trombetta, a fungere da preludio alla caduta indiana.
Da un punto di vista tecnico non impressionano né la fotografia né la stantia e antiquata colonna sonora.
Apprezzato dai critici e considerato un vertice del periodo da alcuni dizionari, Nessuna Pietà per Ulzana è un western classico che ha il merito di togliere quell'ipocrisia di fondo che caratterizzava certi western del ventennio precedente senza tuttavia avere la forza e la volontà di riabilitare la posizione dei nativi di America.
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