Regia di Nila Madhab Panda vedi scheda film
Da Bollywood provengono anche sogni veri ed importanti. Regalare al pubblico una bella storia, che contenga un messaggio di progresso sociale, è lo scopo che il regista indiano Nila Madhab Panda si è prefisso con questo suo primo lungometraggio a soggetto: una favola accostabile a Il principe e il povero, che sfida la mentalità classista propugnando il diritto all’istruzione per tutti i bambini, nel benessere come nel disagio, nelle città come nelle campagne. Il protagonista è un ragazzino del Rajasthan che lavora come cameriere presso una stazione di servizio e che solo attraverso l’amicizia, segreta e proibita, con un principino suo coetaneo, riesce a realizzare il proprio desiderio di studiare. I miti del piccolo Chhotu sono fatti di carta: sono i libri per imparare l’inglese e la matematica, e le foto del presidente indiano A.P.J. Abdus Kalam, per il quale egli nutre una grande ammirazione. Fuori dalla sua cameretta situata nel retrobottega, lo aspetta, purtroppo, un mondo semideserto, popolato di gente estranea e di passaggio: camionisti e turisti stranieri, che portano con sé l’immagine di una realtà remota, piena di suggestioni e di risorse, ricca e colorata come il palazzo reale, convertito in albergo, presso il quale il ragazzino si reca a consegnare ordinazioni di cibo e bevande. È qui che incontra Ranvijay, il figlio del blasonato padrone di casa, che lo invita nella sua stanza ricolma di arredi e di giocattoli, ed inizia a prestargli i libri ed i vestiti. I due arrivano persino a scambiarsi, per scherzo, i ruoli, mantenendosi però lontani dagli sguardi degli adulti, che non approverebbero quel legame così irrispettoso delle gerarchie sociali. Contemporaneamente, Chhotu entra in confidenza con Lucy, una giovane ricercatrice europea giunta sul posto per studiare la musica indiana, e della quale lo zio Bhati, il suo datore di lavoro, è segretamente innamorato. Le cose del cuore, in questo film, seguono strade clandestine e difficili, che cercano faticosamente di attraversare le barriere della diversità. La frustrazione si trasforma in una sfida in parte drammatica, in parte comica, che contrappone alla caricaturale goffaggine dei deboli la forza d’animo di coloro che non si arrendono, che fermamente credono nei propri obiettivi, e saldamente si aggrappano a ciò che amano. Non c’è retorica, ma solo una variopinta e spontanea allegria, in questo tormentato inno alla gioia, che celebra la fratellanza e l’uguaglianza come illusioni momentanee, racchiuse in un fugace attimo di condivisione e convivialità, ma comunque anticipatrici di un progresso che, con l’impegno di tutti, si può concretamente raggiungere. Esiste un’India antica che sopravvive nella mentalità conservatrice delle caste nobiliari, come nell’arretratezza delle aree rurali; ad essa occorre contrapporre uno sguardo aperto sull’umanità intera, ed un atteggiamento pronto ad accogliere e coltivare le potenzialità presenti in ogni singolo individuo. In questo film, basato sull’idea secondo cui tutti possono diventare qualcuno, ed anche un bambino povero può essere ricevuto dal capo dello stato, c’è un po’ dell’American dream d’esportazione che abbiamo visto in Slumdog Millionnaire. Tuttavia la contaminazione di stampo commerciale si ferma alla parte “buona”, quella che si richiama alla fortuna costruita con le proprie risorse, senza rifarsi a modelli precostituiti. In questo modo, anche l’identità culturale indiana rimane salva, dentro le melodie delle canzoni popolari, le tradizionali ricette per il tè, le collane per i cammelli, i sari, i turbanti e la poesia in lingua hindi. I Am Kalam è una fiaba educativa, leggera e divertente, e, soprattutto, carica di una speranza semplice, innocente, ed illuminata da un radioso sorriso.
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