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Los viajes del viento

Regia di Ciro Guerra vedi scheda film

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La recensione su Los viajes del viento

di cheftony
8 stelle

Andavo di festa in festa, di donna in donna. Ho un bambino, che non mi conosce nemmeno. È questa la vita che vuoi? Non sai neanche suonare la fisarmonica!”
Allora perché non mi insegni? Insegnami! Posso imparare!”
“Non si può insegnare. O ce l'hai o non ce l'hai! E tu non ce l'hai. E poi chi te l'ha detto che ho qualcosa da insegnarti?”

 

 

Majagual, Dipartimento di Sucre, nel nord della Colombia, 1968: immediatamente dopo la sepoltura della moglie, il musicista Ignacio Carrillo (Marciano Martínez) lascia la cittadina a dorso d'asino, nel silenzio e nella discrezione che accompagnano l'amaro lutto. Si accorge di lui un ragazzetto, Fermín (Yull Núñez), spinto dal desiderio di seguire l'attempato maestro fisarmonicista per diventare grande come lui; Ignacio non sembra gradire compagnia, ma non fa molta opposizione e lascia che l'importuno ragazzo lo segua a piedi.

Fermín scopre presto dov'è diretto il vecchio: in un moto di apparente rigetto, Ignacio vuole raggiungere la regione di La Guajira, dove si trova il suo maestro di un tempo, per riconsegnargli la sua leggendaria fisarmonica con due corna incastonate nel mantice, simbolo di una mi(s)tica possessione demoniaca.

Il viaggio è lungo e, per forza di cose, lentissimo, ragion per cui i due pellegrini hanno modo di fare più soste, anche per mettere da parte i soldi per proseguire: da qui le partecipazioni ad un duelo de acordeones (duello paesano fra fisarmonicisti, infarcito di un dissing verbale che non teme confronti con le americane rap battle di oltre vent'anni dopo) e alla prima edizione del Festival Vallenato, nonostante Ignacio si professi riluttante a suonare di nuovo il suo strumento. Ma il rapporto fra i mancati maestro e discepolo si fa spinoso, troppo infarcito di domande inevase e i loro percorsi umani non sembrano coincidere, mentre un'imponente Colombia rurale li guida e li osserva muta e immutabile…

 

In Colombia si parlano 67 idiomi. È un paese molto diversificato e ricco [...], è il prodotto della mescolanza della cultura europea, della cultura africana e della cultura indigena nativa. A differenza di altri paesi dell’America Latina, in Colombia esiste una mescolanza molto profonda, che si esprime magicamente, per esempio, nella musica. Una musica che usa uno strumento europeo come la fisarmonica e strumenti africani come la caja ed il tamburo. La musica è una parte importante della vita dei colombiani, accompagna in qualsiasi momento, da quando uno nasce a quando cresce, da quando ti innamori fino alla morte, la musica è sempre presente. Io credo che sia la chiave per comprendere l’anima colombiana.” [Ciro Guerra]

 

Ciro Guerra

El Abrazo de la Serpiente (2015): Ciro Guerra

 

Sì, la migliore chiave di lettura per decifrare “Los viajes del viento” pare essere la musica vallenato, genere di spicco nel panorama culturale colombiano; è una musica essenziale, imperniata sui contributi di soli tre strumenti (fisarmonica, caja e guacharaca), espressione di un rapporto puro con la natura. L'ambientazione nel 1968 è scelta non a caso, giacché Guerra ritiene che dopo il '68 il vallenato non sia stato più genuino come agli albori, contaminato e commercializzato.

Per inciso, Ciro Guerra è un astro nascente del cinema sudamericano: regista e sceneggiatore classe 1981, ha visto questa sua opera seconda candidata al Festival di Cannes 2009 nella sezione Un Certain Regard e, in questo momento, è candidato al Premio Oscar per il Miglior film in lingua straniera col suo mastodontico terzo lavoro “El abrazo de la serpiente” (in bianco e nero come il suo esordio “La sombra del caminante”).

Ecco, qui invece non si può fare a meno dei colori, esaltati dalla fotografia di Paulo Andrés Pérez, luccicante ausilio alle soluzioni visive di Guerra, che col formato Super 35 filma paesaggi di inusitata e poco nota bellezza. Le location di “Los viajes del viento” sono moltissime, scorci di una Colombia la cui immagine viene restituita dai media costantemente deturpata da droga, criminalità e corruzione, ma Guerra vuole palesare come vi sia ben altro.

La trama, gira e rigira, è poca cosa e si ritrova estremamente rarefatta nella seconda parte: un juglar (traducibile come menestrello) intraprende un viaggio, di redenzione per lui e di formazione per il ragazzo che lo accompagna, sulle note di una musica che è allegra solo di facciata grazie agli accordi squillanti della fisarmonica, ma la radice malinconica è ben evidente e sottolineata dai lunghi silenzi. Il misticismo è accentuato dal binomio di natura e folklore, con quest'ultimo che appare molto legato al soprannaturale (il diavolo, la magia nera, i percussionisti semi-selvaggi).

Produzione tedesca, olandese, argentina e colombiana (per mano dell'Università Nazionale), “Los viajes del viento” non impiega alcun attore professionista: bravi davvero, dunque, l'ambizioso e giovane Yull Núñez, così come il ruvido Marciano Martínez, vero juglar tempo addietro e autore di molte canzoni vallenato. Rimane, tuttavia, una visione piuttosto ostica, studiata per un pubblico locale e perciò colma di significati fra le righe che – ne sono sicuro – mi sono sfuggiti, ma non può mancare di stupire per la magnificenza visiva: con un'alternanza perfetta di campi lunghi e morbide carrellate, Ciro Guerra illustra con perizia paesaggi splendidi della regione caraibica della Colombia, come il deserto di La Guajira e la Sierra de Perijá, lussureggiante catena montuosa “spartita” col Venezuela. Per gli occhi è una gioia, resta il dispiacere solo per non averne colto tutte le sfumature.

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