Regia di Ciro Guerra vedi scheda film
«Non sono io che suono, è l'accordéon: non posso dominarlo. È per questo che lo voglio restituire.»
Ignacio Carrillo è un 'juglar', un giullare, un menestrello, noto per la sua bravura e per le voci che circolano attorno al suo strumento: un accordéon (dotato di corna) che si dice sia appartenuto al diavolo, o che da questi sia stato stregato; un accordéon dal suono unico ma che costringe chi lo possiede a dedicarsi ad esso anima e corpo. E questo Ignacio ha fatto per lunghi anni: egli ha vagabondato portandone la musica di villaggio in villaggio, senza curarsi di mettere radici fino a quando, trovata la donna giusta, ha giurato a sé stesso di smettere di girovagare e sposarla.
Los Viajes del Viento parte con una sepoltura, ed è proprio quella di Ana Luz, colei a cui Ignacio aveva preteso di legare il suo destino ma che il diavolo gli ha portato via. Così, subito dopo l'estremo saluto all'amata, l'uomo decide di intraprendere, solo con il suo asino, un ultimo viaggio, il più importante, che dalla natia Majagual, nel Sucre, dopo aver attraversato gli sconfinati territori costieri della Colombia Caraibica, lo condurrà a Taroa, nel deserto de La Guajira, all'estremità nord del paese. Lo scopo è quello di mantenere una vecchia promessa e riportare lo strumento maledetto al legittimo proprietario, la speranza è che ciò lo liberi dalla iattura che esso porta in dote.
Ma, nonostante i propositi di solitudine, Ignacio si trova tallonato sin dai primi metri del proprio cammino da Fermín Morales, un ragazzo affascinato dalla sua figura e determinato a seguirne le orme, che gli chiede di portarlo con sé e di insegnargli a suonare.
Ignacio accetta la compagnia dell'aspirante apprendista, ma lo fa controvoglia, mostrandosi subito freddo e sgarbato e rifiutandosi di fornirgli l'aiuto richiesto: perché non possiede il dono, dice, ma anche, e questo non lo ammetterà mai, perché in lui rivede sé stesso alla sua età, con il medesimo entusiasmo ed un campionario di illusioni e di errori pronti per essere compiuti.
La convicenza tra i due sarà burrascosa, tenuta insieme dall'insistenza di Fermín, adolescente che, alla ricerca di un punto di riferimento, che non può essere il padre che l'ha abbandonato già prima di nascere né colui che l'ha allevato consegnandogli il proprio cognome, pensa di averlo individuato in un uomo che col padre ha fatalmente in comune la stessa scelta vigliacca, un uomo che ha speso una vita senza costruire nulla, lasciando dietro a sé solamente migliaia di chilometri di strade vuote, un uomo concentrato esclusivamente sulla propria missione, che ha intenzione di porre fine la propria leggenda pur non avendo elementi per sopravvivere ad essa, e che attende l'incontro con il proprio mentore come un approdo definitivo.
Los Viajes del Viento è l'opera seconda di Ciro Guerra, un classe '81 che nella costa settentrionale della Colombia è nato e cresciuto. E si vede: il suo è un film sentito ed emozionante che del paese offre uno scorcio pressoché inedito, fermando le lancette del tempo al 1968 e fotografando la quotidianità di una popolazione periferica e rurale fieramente legata alle proprie radici ai propri miti e alle proprie tradizioni, una popolazione governata dall'istinto, quindi naturalmente portata ad assegnare un ruolo fondante ad una delle massime espressioni di libertà creativa: la musica. Il cuore di questa gente batte infatti a ritmo di vallenato, il suono della loro terra, generato impiantando melodie spesso tristi e malinconiche sulle evoluzioni sonore di un accordéon accompagnate da una caja ed una guacharaca, due strumenti a percussione.
Elemento di aggregazione e di unione per una collettività intera, l'accordéon è per Ignacio l'unico mezzo di sostentamento: con esso con la sua fama e con Fermín sempre tra i piedi (il quale, preso atto dell'indisponibilità dell'uomo ad impartire lezioni, devierà dall'idea di partenza cercando la pratica e la legittimazione per diventare un suonatore di caja e di tamburo), attraverserà ampie praterie e verdi distese montuose, spiagge e foreste, deserti e saline, incontrando il proprio presente ed il proprio passato, i propri fantasmi e le proprie sconfitte, e trovandosi a suonarlo per competizione oppure per dovere, partecipando a gare con premi in denaro o accompagnando dietro minaccia un duello mortale all'arma bianca, ma riuscendo sempre, quando con l'accordéon tra me mani, a tirar fuori la propria anima.
Los Viajes del Viento è la storia ammaliante e suggestiva del compimento di un destino e di una disillusione, un racconto intimo e folkloristico, struggente e romantico, scritto e diretto da un ventottenne che dimostra la sicurezza di un veterano, e recitato da attori della regione tra cui, accanto al giovane Yull Núñez nel ruolo del discepolo volenteroso e testardo, si erge per distacco Marciano Martínez, un vero compositore di vallenato (che - curiosità - ha vinto realmente - nel 1988 - il Festival de la Leyenda Vallenata di Valledupar in cui si svolge una lunga scena del film) che con il suo aspetto rude, l'aria scontrosa, e l'evidente e contagiosa passione per lo strumento, si cala mimeticamente nella parte del protagonista.
Tra i molti momenti memorabili di un film che poggia, manco a dirlo, su una colonna sonora imperdibile, composta ed interpretata da Iván "Tito" Ocampo ed altri importanti rappresentanti del genere, meritano menzione gli oltre dieci incalzanti e straordinari minuti di 'piqueria' (testa a testa tra accordéonisti) durante la Fiesta de la Virgen de la Candelária a Becerril.
Ancora inedito in Italia ma distribuito in buona parte del resto del mondo (vincitore, tra gli altri, del Premio Città di Roma a Cannes 2009), Los Viajes del Viento è un maiuscolo frammento di cinema da recuperare. ****½
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