Regia di Andrea Mugnaini vedi scheda film
Nell’Italia delle sale di provincia esiste un genere cinematografico indefinito, che si colloca a metà strada tra la commedia giovanilistica e il film d’autore, e che si avvantaggia degli elementi del colore locale, ma rifiutandosi di farne la sostanza del suo umorismo. Questo primo lungometraggio di Andrea Mugnaini è immerso fino al collo nell’aria della Firenze degli studenti universitari e dei bricconi di buona famiglia, però evita accuratamente il ritratto cittadino e lo spaccato di vita urbana, in modo da creare un’opera di respiro nazionale, ma non sfacciatamente popolare. Il tentativo di realizzare un difficile equilibrio tra la storia esportabile fuori dai confini regionali e la commedia d’ambiente, soprattutto se effettuato con piglio leggero, rischia di produrre un risultato asettico; ed è precisamente, ciò che avviene in questo film, rigoroso ma anodino, costituito da una materia sterilizzata e ridotta all’osso, solidamente aggrappata ad un struttura tecnicamente asciutta ed impeccabile. Il gusto e la genuinità vengono, purtroppo, sacrificati ad un desiderio di qualità che disciplina pedantemente la fantasia, ed impedisce l’abbandono a quella mediocrità ruspante che è il marchio polemico dell’espressione artistica indipendente, ed è il peccato di gioventù che si perdona a tutti gli esordienti. La regia persegue un’eleganza e una chiarezza che levigano il discorso, correggono la grammatica, puliscono il vocabolario, ma restituiscono una sintassi povera di cadenze emotive. Nella storia di Vieri, studente in economia, che vorrebbe fare il fotografo, ha una seconda vita da pusher e mente ai genitori sul proprio rendimento universitario, si riconosce immediatamente un impianto basato sui più classici cliché: una partenza forse infelice che, però, da sola, non basterebbe a pregiudicare l’esito dell’operazione narrativa. Quest’ultima, a onor del vero, viene affrontata con apprezzabile spirito ed evidente slancio, e con la sicurezza di chi ama sinceramente i propri personaggi e crede davvero nella storia. Un approccio così deciso e promettente viene, però, inopportunamente frenato da un’eccessiva preoccupazione di carattere estetico. L’impronta personale non rimane sufficientemente impressa nella superficie di un film che poteva essere molto più coraggioso, esponendosi, con maggiore spavalderia, al fatidico, ma pur sempre eccitante, pericolo di sbagliare.
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