Regia di Cheh Chang vedi scheda film
I Manchu distruggono il tempio Shaolin, dandolo alle fiamme. L’unico superstite è il maestro Hong Xiguan, noto per la sua abilità nelle arti marziali, che viene spietatamente braccato dai letali nemici.
Inizia con un incipit classico questo film appartenente, di fatto, al periodo d’oro del filone Shaolin che mi ha fatto fare, letteralmente, un salto nel passato; tale è stata infatti la sorpresa nel rivedere le facce, ormai da me dimenticate, di attori visti decine di volte nella mia infanzia in una moltitudine di pellicole ad argomento marziale: il deciso Chen Kuan-tai (Hong) e il simpatico Alexander Fu Sheng (che qui interpreta Fang Shiyu). Balzo anche stilistico poiché, viste le carenze tecniche dovute alla inesistente tecnologia digitale, in tali film si puntava molto sulla preparazione atletica, qualità nella quale i due famosi attori eccellevano. Il regista Chang Cheh può quindi coprire una buona parte della durata della pellicola con esaltanti e lunghi combattimenti a mani nude (grazie anche all’adeguatezza marziale di tutti gli attori coinvolti, anche i comprimari), comunque senza mai stancare. Lo stile alterna momenti allegri e spensierati a robuste dosi di violenza, contrappuntata dal marchio di fabbrica anni 70 del suono onomatopeico dei fendenti menati (quel misto tra soffio del vento e colpo di maglio), dal filtro rosso dello schermo nei momenti più violenti e dallo “spasmo” finale prima della morte dei personaggi. Ho notato qualche ingenuità di fondo, più che altro a livello recitativo, che comunque non inficia, per gli amanti del genere, la godibilità di questo “pilastro” della produzione dell’ormai leggendaria “Shaw Brothers”.
Sanguinosa.
Robusta.
Duro.
Gioviale.
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