Regia di Marco Pavone vedi scheda film
Un cartone animato che ha l’aspetto della classica favola horror, ma l’anima di un romanzo di formazione. Il suo punto di partenza è un trauma infantile che, successivamente, si sviluppa in un’avventura, ed infine esplode nel sogno. Per il piccolo Yuri, un ragazzino timido e remissivo, diventare grande è la catarsi che realizza la liberazione dalla paura, la scoperta della propria forza, la conquista della fiducia in se stesso. Nell’Unione Sovietica del 1946, il mondo che egli vede intorno a sé ha i toni drammatici e sinistri di una guerra appena terminata e di una dittatura che sta imboccando la strada della repressione violenta, accompagnata dalla diffusa corruzione della classe politica. Il piccolo mondo che circonda Yuri - una modesta casa in un villaggio di campagna, una scuola frequentata da bulli, una madre casalinga, un padre operaio soggetto alle angherie del suo superiore, una nonna stramba e solitaria – è un’emblematica miniatura del milieu popolare, in cui si vive da subalterni all’ombra di un potere sempre più distante e minaccioso. L’ambientazione è un vuoto fiocamente illuminato dalla fiammella della rassegnazione: la grafica monocolore, nelle tinte che variano dal grigio al seppiato, simula un bianco e nero espressionista, i cui chiaroscuri riflettono le sfumature del dubbio e i sussulti delle emozioni. L’atteggiamento di Yuri è caratterizzato da una totale sottomissione all’autorità degli adulti, che limitano la sua libertà e lo rimproverano senza permettergli di capire. Il suo desiderio di imparare ed esprimersi si scontra con la barriera formata da una serie di obblighi e divieti apparentemente immotivati (come la singolare proibizione di vedere la nonna), così che a lui non resta altro che la fuga nella fantasia. Il suo unico punto di riferimento è l’inseparabile Cappellaccio, un pupazzo di stoffa che soltanto per lui è un essere parlante ed animato. Quell’omino rappresenta, ai suoi occhi, l’unica certezza, in una realtà troppo misteriosa e complicata, in cui non gli è dato modo di distinguere tra il bene e il male, e tra la verità e la menzogna. Ogni dato che sembrava acquisito viene smentito dagli eventi: Tarkovsky, il capo dell’azienda, nei discorsi dei suoi genitori passa, da uomo degno di venerazione, ad oggetto di disprezzo; la nonna, che la madre descrive come malata, il padre come infame simulatrice, si rivela, nei fatti, una vecchina pacifica ed affettuosa. Yuri è disorientato dalle finzioni, dalle contraddizioni di una società in cui tutto è artificiosamente ambiguo, diviso tra gli impulsi del cuore e le imposizioni del regime (vedi la ginnastica, che per la madre di Yuri è un esercizio pericoloso, mentre per il suo insegnante è un contributo fondamentale alla crescita del perfetto sovietico). Quel fantasma del quale gli parla la nonna è una creatura di cui pare impossibile stabilire la natura: forse è un albero, forse un animale; forse è cattivo, forse, invece, è buono e questa indeterminatezza riassume la visione sfocata tipica della prima infanzia, in cui si vedono le superfici colorate (le suggestioni), ma i contorni (le definizioni) non appaiono sufficientemente nitidi. Yuri, non potendo far conto sugli altri per perfezionare ed approfondire la sua conoscenza delle cose, potrà uscire dalla metaforica foresta della confusione mentale soltanto confrontandosi con la vita in maniera diretta ed autonoma, senza filtri né interferenze esterne. La necessità di cercare aiuto per i suoi genitori, rimasti feriti in un incidente stradale, gli fornirà l’occasione di sostenere questa decisiva prova. La sua lunga camminata attraverso il bosco gli fornirà gli stimoli giusti per trovare da sé le risposte, andando a scavare nei ricordi: la narrazione di questi ultimi è affidata, nel film, a flashback realizzati con originali tecniche di animazione, che si inseriscono nel contesto metallico della computer graphics in 3D attingendo in parte alle stilizzazioni del fumetto, in parte alla cinematografia degli anni venti. Zero zero è il racconto di un processo di crescita, scandito da un conto alla rovescia: dietro un’atmosfera silvestre, sottolineata dalle cupe sonorità dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij, si avverte il ritmo pulsante del pensiero razionale, che prepara un finale a sorpresa, inaspettatamente glorioso e, soprattutto, assolutamente reale.
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