Regia di Lisa Immordino Vreeland vedi scheda film
Vedere eppur sognare: il talento di Diana Vreeland è una commistione di orgogliosa preparazione sul campo e gusto affabulatorio del racconto. Redattrice di “Harper’s Bazaar” prima, direttrice di “Vogue” poi, alla pensione preferì la consulenza (esagerata e appassionata) per il Metropolitan Museum of Art. Affascinante in maniera evidentemente anticanonica, formazione antiaccademica, anticonvenzionale per l’istinto a impressionare la realtà e restituirla filtrata attraverso l’ingrandimento narrativo. Chissà se sarebbe soddisfatta del film della sua vita, lei che ci dicono fosse sempre inappagata. Affamata di ruggenti Anni 20 anche nei depressi(vi) 30, morì che ne aveva quasi 90 essendosi concessa ogni lusso eccetto la pigrizia. Il doc di Lisa Immordino Vreeland, moglie del nipote e cineasta esordiente, accarezza l’allure come l’eccesso. Poteva ambire al manifesto femminista, virare sull’affettività discussa. Invece sceglie con coerenza la strada del racconto. Nell’accezione semplice e grandiosa della protagonista: biografia infusa di aneddotica, potenza immaginifica di una storia antica. Con fedeltà e maniera, fatto e finzione si fondono in un neologismo: per lei che della verità fu un’acuta osservatrice, quindi una metteuse en scène divertita e (in)cosciente. La magica dialettica tra materia ed enfasi resta intatta: un tocco al tessuto e un occhio al vissuto, perché «non importa il vestito, ma la vita che conduci mentre lo indossi».
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