Regia di Pippo Delbono vedi scheda film
La materia è l’unico possibile oggetto dell’amore e dell’odio. Perché la materia è la vita del mondo, la fonte delle nostre sensazioni, l’origine delle nostre paure, la scintilla che innesca i ricordi. Quello che siamo è intorno a noi; nei panorami delle città, nelle sale da ballo, negli studi medici, dentro i discorsi incomprensibili o non necessari, nelle canzoni improvvisamente urlate durante una giornata di pioggia, in tutto ciò che accade, così, mentre si va. L’importante non è sapere; è continuare a scoprire. La coscienza è un deposito sterile, se non la si provoca, mettendone in dubbio la solidità. Pippo Delbono ripete il test dell’HIV, vent’anni dopo aver appreso di essere sieropositivo. L’emozione è una storia in cammino, non si lascia congelare nelle certezze. Siamo stupidi a credere che l’universo sia lì per cercare di essere vero. La sua presenza è invece incostante, irrequieta, particolare e soggettiva come una ripresa effettuata di nascosto, da un cellulare appeso al collo. Questo film traccia la scia di questo pensiero generosamente inconcluso, che estende all’infinito lo spazio che separa il corpo dal momento della morte. I confini di quell’intervallo sfumano, fino quasi a svanire, se all’immobile eternità dell’attesa si sostituisce la vibrante curiosità di chi è convinto di poter vedere ogni cosa come fosse la prima volta. Di poter reinventare la parola, dopo che tutto è già stato scritto. Pippo incontra Bobò, che è pazzo e sordomuto, ed inizia ad amare la sua lucida, incontaminata maniera di esprimersi, con quella mimica primordiale che sa dare una forma al silenzio. È una tappa di un percorso autobiografico che si spalanca, un po’ a caso, su un ambiente esterno che è ovunque importante, affollato di organismi, fremente di potenziale poesia. Pippo registra ex novo ciò che dovrebbe essere scolpito nella sua memoria, e lo rende presente, come un’idea appena nata, non ancora cresciuta. Un ponte sul fiume. Una ballerina vestita di nero. Un’amica a cui piace parlare.
Il libro dell’esistenza è fitto di capitoli stracciati, che si possono però leggere in sequenza, o anche andando avanti e indietro, come se il senso fosse una creatura danzante. Pippo sa che il cerchio non si potrà mai chiudere: è impossibile scrutare il proprio occhio, per individuare la pagliuzza che annacqua la vista. Questa è la mezza felicità in cui trova consolazione chi ha imparato a fare i conti con la fine, con il concetto che vorrebbe inghiottire tutti gli altri, azzerando il futuro. Il fatto è che gli estremi non si ricongiungono, non c’è pericolo di ritrovarsi al punto di partenza. Non è inutile, quindi, proseguire il viaggio, lungo il quale nulla rimane uguale: le idee volteggiano, intrecciando passi di valzer e voli di gabbiani, ed in quel modo cambiano, progrediscono, si spostano coraggiosamente verso l’ignoto. La diversità è l’immagine stessa del rinnovamento, del motore cosmico che distrugge e fa soffrire, che separa gli individui e i destini, che nega agli uni ciò che concede agli altri, che disegna le frontiere tra le nazioni, che ci rende drammaticamente limitati e fragili, turbinosi ed evanescenti come spirali di schiuma. Anche la guerra è una questione di differenze, tra gli amici e i nemici, tra i potenti ed i poveri, tra il prima e il dopo. Un’anziana madre vive l’oggi come fosse ancora ieri, ma non potrà sottrarsi all’arrivo di quel domani che la porterà via per sempre. Amore carne è un atto di appassionata denuncia contro ciò che ci fa esistere dilaniandoci l’anima. Un litigio tra l’essere e il divenire che incalza. Un altro grido che solleva, all’insaputa della massa inerte della normalità, un argenteo nugolo di neve, di nebbia, di polvere, di ghiaccio.
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