Regia di Ann Hui vedi scheda film
Chiedi alla polvere, in questo caso verrebbe in prestito per comprendere appieno qual è il senso di un film sul tempo che passa e ‘impolvera’ le cose e le persone, che prima erano sempre ‘pulite’, trasparenti. Anche nei sentimenti.
Straordinaria storia, ispirata a fatti e persone reali, quella di Chung Chun-Tao, detta Ah Tao, nata a Taishan, in Cina, protagonista del film. Quando suo padre adottivo muore, durante l’occupazione giapponese, la madre la manda a lavorare. Adolescente, Chung Chun-Tao diventa una serva, a servizio della famiglia Leung, fino a quando, dopo tanto tempo, alcuni membri della famiglia emigrano. Trascorsi sessant’anni, Ah Tao svolge sempre lo stesso mestiere, ma a servizio di Roger, l’unico della famiglia rimasto a Hong Kong, dove lavora nell’industria cinematografica. Un giorno, tornando a casa, Roger trova la donna in preda a un ictus e l’accompagna in ospedale. Una volta fuori pericolo, Ah Tao gli comunica di volersi ritirare in una casa per anziani, dove conoscerà una varietà di anziani ospiti. Tuttavia, Roger non le si allontanerà, cercando di essere molto legato alla vecchia governante. La madre, in visita dalla California, gli suggerisce di regalare ad Ah Tao uno degli appartamenti di famiglia, perché possa finalmente avere una casa tutta sua per la vecchiaia. Ma le condizioni di salute della donna si aggravano repentinamente.
Una fra le più importanti cineaste cinesi, acclamata anche da quelli che il cinema lo fanno ad Hong Kong, con al suo attivo tanti documentari e lungometraggi, tra cui Summer Snow (vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino 1995), torna ad indagare la vita della gente comune, tratto distintivo della sua filmografia, dedicata a raccontare spaccati di vita quotidiana, soprattutto degli ultimi. Con uno stile fortemente lirico, ma realistico, tant’è che quest’ultimo film è ispirato alla vita del produttore Roger Lee e al suo rapporto con la governante, la regista ci regala una storia semplice, come sottolinea il bellissimo titolo. La dignità di chi è buono e l’umiltà di chi si abbandona alle cure altrui sono le vere protagoniste di questo film, tutto giocato sugli sguardi, tanti silenzi e le poche parole, sempre essenziali. Con uno sguardo quasi bambino, Ann Hui attraversa le cose, fino a far pronunciare dal suo produttore: “Il film è come un bambino devi badarci continuamente”. E’ evidente che questa è la sua idea di cinema. Con attori non professionisti, accanto a due splendidi attori, Andy Lau e Deanie Ip, la spontaneità dell'attrice le ha fatto meritare la Coppa Volpi a Venezia (dove il film ha ricevuto anche il Premio La Navicella), la regista cinese ci fa addentrare nella vita delle persone che, almeno una volta nella propria vita, ognuno ha il piacere di incontrare, e se fortunati, anche la possibilità di curare o farsi curare. Perché la malattia diventa occasione di approccio all’altro al modo di chi non dismette i propri sentimenti, anche nel caso in cui l’altro rischia di diventare un peso, o una croce da portare. E’ un film che, al modo de “La cura” di Franco Battiato, sintetizza il valore della vita e della morte. Ma soprattutto l’alto valore del dono, attraverso la cura. Perciò si soffre, ci si abbandona ai sentimenti che spesso son nascosti per la paura di dover fare i conti con verità che prima o poi salgono a galla e depositano strascichi di tristezza, malinconia e angoscia. Si tratta di fare i conti con stipiti che si aprono, ceste di antichi ricordi che si scoprono, della quiete dopo la tempesta, con ancora fra le mani umide, il tanfo delle migliori cose che passano.
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