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Seediq Bale

Regia di Te-Sheng Wei vedi scheda film

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La recensione su Seediq Bale

di OGM
4 stelle

John Woo è tra i produttori di questo film taiwanese a sfondo storico, che, nella corsa all’Oscar per il migliore film straniero, pur non arrivando alla nomination, riuscirà comunque a passare il primo turno di selezione,  e ad essere inserito nella shortlist dei primi nove. I Seediq erano un popolo di guerrieri e cacciatori, abitanti nelle foreste dell’isola di Taiwan. Nel 1930, durante il dominio giapponese, un gruppo di indigeni attacca un villaggio, uccidendo decine di giapponesi. Questo sanguinoso episodio, noto come l’incidente di Wushe, scatenerà una dura rappresaglia da parte dell’esercito nipponico. Al resoconto di questa guerra, vista dalla prospettiva del capotribù Mouna Rudao e dei suoi uomini,  è dedicata quest’opera, scritta e diretta da Te-Sheng Wei, qui alla sua terza regia e alla sua prima esperienza come sceneggiatore. Un’impresa ambiziosa, dal budget elevatissimo, e con evidenti aspirazioni da kolossal dal sapore orientale e vagamente agiografico: una pretesa di autenticità autoctona che sa di operazione commerciale e nuoce non poco alla qualità artistica. Le numerose scene di battaglia nella giungla perseguono l’usuale spettacolarità a base di violenza e di devastazione, affidandosi alla macabra fantasia delle tecniche omicide ed alla concitazione artificiosamente prodotta dal volteggiare della macchina da presa e dai salti acrobatici del montaggio. A ciò si aggiungono effetti speciali digitali alquanto approssimativi e cromatismi smaltati da antica cartolina che appesantiscono inutilmente l’estetica, già di per sé un po’ incerta, delle inquadrature. Crudeltà e sacrificio sono gli unici argomenti del racconto, che ci vengono proposti in tutte le possibili varianti, dal suicidio di massa delle donne ai solitari seppuku dei combattenti, che sono  soltanto la controparte onorevole ed intimistica dei massacri compiuti negli scontri armati, con le spade, le lance, le granate, i cannoni, le bombe a gas. Un atroce capitolo dell’imperialismo del Sol Levante rivive, sullo schermo, sotto forma di un mastodontico videogame in ambiente silvestre, dal ritmo serratissimo ma dalla grafica imprecisa e dall’azione confusa. Al realismo dell’orrore questo film applica non tanto il compiacimento - che pure potrebbe risultare  confacente ad un certo filone del cinema asiatico – quanto una meccanica banalizzazione, che mortifica amaramente anche la potenziale suggestione poetica della leggenda, più volte evocata, senza suscitare alcuna emozione, dal riferimento a quel ponte dell’arcobaleno oltre il quale si estende il paradiso degli eroi. Il mito potrebbe offrire anche lo spunto per un ritratto etnologico, ed invece rimane a fluttuare a mezz’aria, come un discorso di cui si è perso il filo.  I Seediq - così ci viene ricordato due volte, nel corso del film e nel suo epilogo -  sono la discendenza di una coppia nata da un albero chiamato Pusu Qhuni, che sorgeva sulla Montagna Bianca, ed il cui tronco era per metà di legno e per metà di pietra. Di quella stirpe, fiera di prolificare, dando vita a generazioni sempre più numerose, sembra rimasto soltanto un piccolo gruppo  votato alla morte, che  interpreta  il senso dell’orgoglio nelle due opposte accezioni della temerarietà e della rinuncia. La sua lotta, più che disperata, sembra smaniosa, priva di valori, di obiettivi e di significati che vadano oltre la strenua volontà di attaccare per difendersi, o per vendicarsi, anche quando la sconfitta appare inevitabile. Tra le loro file, la rabbia selvaggia diretta contro il nemico si alterna all’imperturbabile disciplina dell’autodistruzione,  la fedeltà alla tradizione degli antenati si mescola con la viltà fratricida del mercenario, che caccia le teste dei suoi simili per una manciata di denaro. Seediq Bale si fregia, nel titolo,  di un concetto che si dimentica totalmente di sviluppare, narrando la saga follemente bellicosa di una gente che, dopo più di due ore di pellicola, agli occhi dello spettatore risulta ancora priva di una chiara identità.

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