Regia di Santiago Amigorena vedi scheda film
Da Santiago Amigorena, cosceneggiatore, con Cédric Klapisch, di Autoreverse (2003), ci arriva un road movie doloroso, in cui la missione di vendetta si trasforma poco a poco in un percorso di rinascita interiore. Marie, giovane agente di polizia, si sposta dal Canada all'America del Sud per andare alla ricerca dell'uomo che, in un agguato su commissione, ha barbaramente ucciso suo marito e il suo bambino. Dovrà rincorrerlo a lungo, attraverso le regioni desolate dell'Argentina e della Bolivia, e nel chiarore accecante di quei luoghi desertici e sperduti, la sua rabbia cederà gradualmente il posto ad un indefinito desiderio di comprendere le profonde ragioni della vita. Negli angoli del globo in cui l'umanità, rarefacendosi, si copre del polveroso candore della semplicità, l'eco del rancore si dissolve, non potendo più rimbombare nelle stanze lasciate vuote dalle consuetudini infrante. Lungo il cammino, il pensiero vigile di Marie rimane ancorato al proprio obbiettivo, inseguito pervicacemente anche con il volgare strumento del denaro, ripetutamente usato per corrompere. Intanto la sua anima sembra volare altrove, verso una dimensione in cui poter ritrovare, nonostante tutto, il senso dell'amore ed un motivo per sentirsi ancora se stessa ed andare avanti. A migliaia di chilometri di distanza dall'origine del proprio strazio, Marie scopre che esistono ancora le madri, i figli, gli uomini, gli istinti naturali e i sentimenti nobili, le gioie e i lutti. Un ambiente primitivo, ma decoroso e raccolto, le restituisce l'immagine di un tutto di cui anche lei fa parte, e nel quale ognuno combatte la propria piccola battaglia personale, confinata in quel limitato spicchio di realtà che gli è accessibile. Negli spazi aperti dei paesaggi andini, dove mancano i punti di riferimento e l'uniforme ed aspra vastità del territorio è tale da stordire, Marie è investita dall'onda dell'universalità, che travolge e spiana ogni cosa, sottraendo individualità alla sofferenza e svelando il carattere relativo delle nostre emozioni: incontrando i familiari di Pablito Molina, quel giovane sicario che in un attimo le ha distrutto l'esistenza, la donna si rende conto che l'oggetto del suo odio, per qualcun altro, è un prezioso tesoro custodito nel cuore. Una nuova consapevolezza si fa strada in lei in maniera graduale e sottile, praticamente impercettibile per noi che la osserviamo dall'esterno e ci lasciamo sviare dalla determinazione con cui Marie si impegna a portare a termine il suo compito, senza guardare in faccia a nessuno, sparando a sangue freddo e non fermandosi di fronte a niente. Il cambiamento avviene sottopelle, infiltrandosi delicatamente all'interno di un animo ferito, troppo sconvolto per poter accogliere la violenza di un'improvvisa illuminazione. Questa raffinata considerazione, a onor del vero, nel film risulta un po' troppo sottintesa, provocando un evidente scollamento tra ciò che lo spettatore vede e ciò che è chiamato ad intuire. Quell'altro silenzio in cui la protagonista progressivamente si immerge non dà segno di sé se non nell'ultima scena, per altro realizzata in modo decisamente convenzionale. Prima tace la voglia di vivere, poi quella di uccidere: la tranquillità malata della depressione cede il posto alla pace vera, quell'azzeramento da cui è possibile ripartire. Un'idea meravigliosa, che Santiago Amigorena ha voluto omaggiare con un'opera sensibile e rispettosa, però un po' incerta ed eccessivamente modesta, priva di quel lustro poetico di cui avrebbe meritato di fregiarsi.
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